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venerdì 30 luglio 2010

Infortuni in itinere con motorino, niente indennizzo.

Infortuni in itinere, niente indennizzo se il lavoratore si reca sul posto di lavoro con il motorino 

   Il componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del consumatore" di Italia dei Valori Giovanni D'AGATA, ritiene opportuno riportare l'attenzione sulla sentenza della Suprema Corte n° 17752 del 29 luglio 2010 che in materia di infortunio sul lavoro, ha stabilito che non spetta indennizzo per infortunio in itinere al lavoratore che sceglie il motorino al posto dei mezzi pubblici per esigenze familiari.

   La decisione in esame ha statuito che" Il lavoratore che si reca a lavoro usando un mezzo proprio per dimezzare i tempi di percorrenza e bilanciare così le sue esigenze lavorative con quelle familiari, quando invece potrebbe usare i mezzi pubblici, non ha diritto all'indennizzo per infortunio in itinere ".

   E' quanto ha stabilito la Suprema Corte che, respingendo il ricorso di un lavoratore contro l'Inail per ottenere l'indennizzo per infortunio in itinere.

   L'uomo aveva fatto un incidente con il motorino mentre si recava dalla propria abitazione alla sede in cui lavorava.

   L'indennizzo gli era stato negato perché non vi era necessità da parte sua di usare un mezzo proprio, avrebbe infatti potuto prendere l'autobus che passava a breve distanza dalla sua abitazione. Il lavoratore sottolineava che l'autobus ci metteva più di 50 minuti ad arrivare, e, facendo molte ore di straordinario, era costretto a prendere il motorino per poter conciliare le esigenze lavorative con quelle della sua famiglia.

   La sezione lavoro ha respinto la sua tesi difensiva, richiamando molti precedenti giurisprudenziali per cui, ai fini del riconoscimento dell'indennizzo, gli spostamenti con un mezzo proprio del lavoratore devono essere necessari, e la valutazione deve prescindere dall'esigenza di bilanciare gli interessi lavorativi con quelli familiari.

   Infatti, "in materia di indennizzabilità dell'infortunio "in itinere" occorso al lavoratore che utilizzi il mezzo di trasporto privato, non possono farsi rientrare nel rischio coperto dalle garanzie previste dalla normativa sugli infortuni sul lavoro situazioni che senza rivestire carattere di necessità – perché volte a conciliare in un'ottica di bilanciamento di interessi le esigenze del lavoro con quelle familiari proprie del lavoratore – rispondano, invece, ad aspettative che, seppure legittime per accreditare condotte di vita quotidiana improntate a maggiore comodità o a minori disagi, non hanno carattere solidaristico a carico della collettività".

    Lecce, 30 luglio 2010                            

Giovanni D'Agata Componente del dipartimento Nazionale " TUTELA DEL CONSUMATORE " di Italia Dei Valori.

 

Mobbing perinatale in crescita: è ormai vera emergenza

  Mobbing perinatale, fenomeno in crescita: è ormai vera emergenza 

    Mai come in questi ultimi tempi il fenomeno mobbing assume le caratteristiche di una realtà di fatto concreta ma che viene al tempo stesso  sconfessata come non esistente.

    Le aggressioni fisiche e verbali e il mobbing sul lavoro rivolto nei confronti dei lavoratori ed i recenti casi di suicidi - omicidi in un momento in cui i fatti di cronaca vedono tragicamente protagonisti numerosi lavoratori, è ormai vera emergenza in un Paese che, da questo punto di vista, fatica ad essere moderno ed europeo.

    I dati che emergono non hanno valore statistico, in quanto ricavati dalle notizie di stampa; difficile raccogliere cifre, sia per la mancanza di un reato specifico sia per l'autocensura ma che segnalano un fenomeno in crescita.

    Sul banco d'accusa c'è la societa' che con le grandi trasformazioni socio-culturali degli ultimi secoli, da una società agricola hanno condotto alla società industriale e post industriale, hanno prodotto diversi e vari cambiamenti nella politica, nell'economia, nella giustizia, nella sanità.

    Cambiamenti che a loro volta hanno portato alla modifica dello stile di vita, delle regole, dei ruoli, dei compiti e responsabilità svolti dall'uomo ed in particolare dalla donna nella famiglia che vive con difficolta' il doppio ruolo di madre e lavoratrice, causando nei nascituri forme di stanchezza ed esaurimento che si manifestano con disturbi che interessano sin dai primi mesi di vita, con l'alimentazione ed il sonno.

              Ecco che ancora sono le donne protagoniste e vittime nello stesso tempo del cosiddetto " mobbing perinatale ", ovvero l'insieme delle pressioni sociali e lavorative che spingono una donna a vivere la maternita' in situazioni di forte stress e stanchezza.

    Si fanno molte ricerche sulla cosiddetta depressione post-partum, ma vi sono molte situazioni di stress precedenti alla gravidanza e prodotte da elementi esterni e di natura sociale, quali problemi economici, situazioni tese in famiglia, ansia di perdere il lavoro.

    Molte future madri vivono situazioni di disagio provocate dalla famiglia o dalla situazione lavorativa.

    Hanno difficolta' ad affrontare la gravidanza e spesso, proprio lo stress, determina parti prematuri o comunque problemi di relazione tra la madre ed il neonato.

    In tale ottica, il sottoscritto Giovanni D'AGATA, componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori, ritiene prioritario rivolgere attenzione alle condizioni lavorative delle future mamme con il fine di preservare in primo luogo la dignita', la salute e la professionalita', ponendole al sicuro dal rischio che si possa procedere a tale pratica in loro danno.

    Lecce, 30 luglio 2010          Giovanni D'Agata Componente del dipartimento Nazionale " TUTELA DEL CONSUMATORE " di Italia Dei Valori.

 


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Redazione del CorrieredelWeb.it
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mercoledì 28 luglio 2010

Cassazione: stop all' indebito utilizzo della carta di credito

ancomat e carte di credito: secondo la Cassazione l'indebito utilizzo della carta di credito è reato consumato anche se la transazione non è andata a buon fine

 

Linea dura della Cassazione sull'indebito utilizzo della carta di credito. Infatti, il reato è consumato e non solo tentato anche nel caso in cui la transazione non sia andata a buon fine.

Lo ha stabilito la Suprema corte che, con la sentenza n. 27167 del 14 luglio, ha confermato la condanna a otto mesi di reclusione e 400 euro di multa nei confronti di un uomo e una donna che avevano tentato di pagare con la carta di credito di un conoscente (anche se non ci erano riusciti perché il negoziante, dopo averli riconosciuti, aveva finto un errore nel pos).

Contro la doppia condanna di merito la difesa aveva fatto ricorso in Cassazione chiedendo una riduzione della pena, dal momento che, aveva sostenuto, i suoi assistiti non avevano ottenuto alcun vantaggio dall'operazione illecita.

La tesi non ha convinto "Piazza Cavour". Infatti, confermando il verdetto, la seconda sezione penale ha ribadito che "l'indebita utilizzazione, a fini di profitto, della carta di credito da parte di chi non ne sia titolare, integra il reato di cui all'art. 12 della legge n. 143 del 1991, indipendentemente dal conseguimento di un profitto o dal verificarsi di un danno, non essendo richiesto dalla norma che la transazione giunga a buon fine".

    Secondo il componente del Dipartimento Tematico "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori, Giovanni D'AGATA è questa una sentenza sicuramente che serve da deterrente poiché inseguire i nuovi pirati dell'era informatica sembra una lotta impari e senza scampo per l'ignaro consumatore-medio, che più medio non è, in quanto nella gran parte dei casi sono frodati proprio i cittadini più accorti ed oculati, con ciò destando ancora più preoccupazione da parte di chi tenta di porre argine ad un fenomeno che anziché rallentare pare proprio inarrestabile.

    Lecce, 28 luglio 2010 

Giovanni D'Agata Componente del dipartimento Nazionale " TUTELA DEL CONSUMATORE " di Italia Dei Valori.

 


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Redazione del CorrieredelWeb.it
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Corte giustizia europea: il ritardo del volo che supera le due ore equivale alla cancellazione e va risarcito

Corte di giustizia europea: il ritardo del volo che supera le due ore equivale alla cancellazione e va risarcito.

    Il componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del consumatore" di Italia dei Valori Giovanni D'AGATA, ritiene opportuno riportare l'attenzione dei viaggiatori in tempi di partenze che la Corte di Giustizia Europea con una recentissima sentenza ha stabilito un punto fermo sui diritti dei passeggeri e i conseguenti obblighi dei vettori.

    Un precedente regolamento europeo prevedeva un indennizzo per i passeggeri solo in caso di cancellazione del volo ma non in caso di ritardo.

    La Corte di Giustizia ha ritenuto illegittima questa disparità di trattamento e fornendo un'interpretazione estensiva del regolamento, ha stabilito che sono risarcibili anche i ritardi.

    Per la Suprema Corte il ritardo prolungato del volo equivale alla cancellazione per cui ne derivano danni ai passeggeri che hanno diritto di ottenere dalla compagnia aerea il rimborso del prezzo del biglietto, una compensazione pecuniaria (da € 250 fino ad € 600) ed il risarcimento dei conseguenti danni subiti.

    In virtù della normativa dettata a tutela dei viaggiatori, prima della sentenza la compagnia aerea non era tenuta a corrispondere l'indennizzo qualora poteva dimostrare che la cancellazione del volo era dovuta a "circostanze eccezionali" che non si sarebbero potute evitare anche se fossero state adottate tutte le misure del caso.

    Ebbene, in passato, le compagnie aeree, appellandosi a tale deroga normativa, sono riuscite spesso a sottrarsi ai propri obblighi risarcitori respingendo buona parte delle richieste risarcitorie.

    La Corte di Giustizia europea ha, tuttavia, affermato che le compagnie aeree, al fine di poter essere validamente esonerate dal pagamento del suddetto indennizzo, devono provare di aver fatto tutto il possibile, in termini tecnici ed economici, per scongiurare la cancellazione del volo.

    I giudici hanno precisato altresì nelle motivazioni della sentenza per evitare disguidi e malintesi che un guasto tecnico all'aereo non rientra nella nozione di "circostanze eccezionali" a meno che il problema derivi da eventi che, per la loro natura, sfuggono all'effettivo controllo da parte della compagnia aerea.

    Infine i passeggeri devono essere informati sui propri diritti.

    In caso di cancellazione, negato imbarco o ritardo superiore alle 2 ore, nell'aeroporto deve essere esposto un avviso che indichi dove rivolgersi per avere un testo che riporti chiaramente i diritti dei passeggeri e gli obblighi della compagnia.

    La compagnia deve anche fornire eventuali pasti e pernottamenti gratuiti e dare la possibilità di fare due telefonate.

    Secondo il componente del Dipartimento Tematico "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori, Giovanni D'AGATA questa sentenza sicuramente non ci salverà dalla cancellazione dei voli, dalle code infinite al gate e dalle notti passate in aeroporto ma almeno le compagnie aeree non potranno più fare finta di nulla.

    Pertanto se sei stato vittima della cancellazione di un volo, lo Sportello Dei Diritti offre ai viaggiatori danneggiati la tutela legale avviando le opportune iniziative, anche giudiziarie al fine di ottenere velocemente il risarcimento del danno senza dover sostenere alcuna spesa.

    Lecce, 28 luglio 2010

Giovanni D'Agata Componente del dipartimento Nazionale " TUTELA DEL CONSUMATORE " di Italia Dei Valori.

 


venerdì 23 luglio 2010

IMPRESE E MEDIAZIONE

 

IMPRESE E MEDIAZIONE

 

La mediazione (o conciliazione) è una tecnica di risoluzione alternativa delle controversie che rientra nel novero della cosiddette ADR (alternative dispute resolution) ed è caratterizzata dalla presenza di un terzo neutro ed imparziale, il mediatore appunto, che ha il compito di cercare di facilitare/ripristinare la comunicazione tra le parti in causa tentando di guidarle verso una definizione della controversia che sia "alternativa" rispetto ai tradizionali metodi aggiudicativi (es.: controversia risolta avanti al Giudice a mezzo di una chiara individuazione di obblighi e responsabilità in capo all'uno o all'altro soggetto)

 

Il d.lgs 28/2010 recentemente varato in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali ha previsto sin dalla sua entrata in vigore la possibilità facoltativa per tutti coloro che intendano agire in giudizio per la tutela di diritti disponibili di avvalersi dei servizi di organismi di mediazione qualificati.

 

A partire dal 21/03/2011, invece, secondo la lettera dell'art. 5, comma 2 del decreto, l'esperimento del tentativo di mediazione sarà invece condizione di procedibilità per le cause in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari.

 

E' dunque evidente come tale riforma abbia una portata amplissima che coinvolge direttamente non solo i privati cittadini ma anche le imprese che possono essere coinvolte in molte delle tipologie di controversie elencate, in primo luogo quelle insorgenti dalle pattuzioni in materia di affitto d'azienda passando per gli istituti della locazione, del comodato, ed altri diritti reali, dei contratti bancari ed assicurativi.

 

L'obbligatorietà del tentativo di mediazione, tuttavia, lungi dall'essere interpretata come un'ulteriore differimento della lite, può e deve essere sfruttata come una grande risorsa da parte dell'impresa che ha la possibilità di ricavare vantaggi in termini di tempo, denaro, e non ultimi, vantaggi fiscali significativi dall'esperimento di questa via.

 

La mediazione consente infatti di risolvere, laddove possibile, la controversia in tempi brevi, spesso nell'arco di uno/due incontri da svolgersi obbligatoriamente nel periodo massimo di quattro mesi (art. 6 d.lgs cit.). Ciò costituisce un plus per l'impresa che ha la possibilità di veder risolti in tempi contenuti problematiche che spesso sono già presenti da tempo e che, per il timore di compromettere la propria immagine o i rapporti con clienti/fornitori non sono affrontati in sede di contenzioso ordinario se non quando hanno raggiunto un livello di patologia spesso irrisolvibile.

 

Un ulteriore pregio del procedimento di mediazione è quello di focalizzarsi sugli aspetti positivi del confronto tra le parti, cercando di stemperare i motivi di attrito e concentrandosi sulle soluzioni, al fine di salvaguardare i rapporti tra le parti, circostanza fondamentale per l'impresa nell'ottica del mantenimento di buoni rapporti commerciali.  

 

I costi sono contenuti e prefissati, proporzionali al valore della causa, tali che la parte, e in particolar modo l'impresa, hanno la possibilità di conoscere con certezza fin dall'inizio del procedimento quali spese dovranno affrontare e quando, senza ulteriori aggravi.

 

Il decreto 28/2010 prevede inoltre, all'art. 17, una serie di incentivi fiscali quali l'esenzione dall'imposta di bollo, tasse e diritti per gli atti relativi al procedimento, l'esenzione dall'imposta di registro per i verbali di conciliazione con valore inferiore a € 50.000,00 nonché un credito d'imposta fino ad un ammontare massimo di  € 500,00.

Infine, la mediazione è un procedimento informale e creativo, attraverso il quale le parti hanno la possibilità di trovare soluzioni non strettamente giuridiche, ma più adatte alla risoluzione del caso concreto, cosa che in ambito aziendale si adatta maggiormente alle esigenze di flessibilità dell'impresa.

 

In caso di successo del tentativo di mediazione, il verbale di conciliazione costituisce titolo esecutivo valido per l'espropriazione forzata e l'esecuzione in forma specifica nonché per l'iscrizione di ipoteca giudiziale. In caso contrario, sarà sempre possibile percorrere la via giudiziale ordinaria senza che alcun diritto sia pregiudicato. Durante l'esperimento del tentativo di mediazione, infatti, i termini di prescrizione e decadenza sono sospesi (art. 5 u.c.) e l'intero procedimento è tutelato da riservatezza, in quanto le dichiarazioni rese e le informazioni ricevute sono inutilizzabili in sede probatoria e non possono essere oggetto di testimonianza.

 

Avv. Giulia Aiudi

Studio Legale Di Lembo

avv.aiudi(chiocciola)pdlstudio.it










 

Cassazione: dire "sporco negro" è aggravante della discriminazione dell'odio razziale

Giro di vite della Cassazione: dire "sporco negro" è un'aggravante della discriminazione dell'odio razziale. 

Per la Cassazione l'espressione "sporco negro" pronunciata da un italiano mentre aggredisce persone di colore è un'aggravante della discriminazione dell'odio razziale.

Lo ha stabilito la Corte di cassazione penale che con la sentenza n. 28682 della sezione Seconda, del 21-07-2010 ha dichiarato configurabile l'aggravante della discriminazione dell'odio razziale nell'espressione "sporco negro", dal momento che tale aggravante è ravvisabile quando essa si rapporti , nell'accezione corrente, al pregiudizio manifesto di inferiorità di una sola razza, mentre non ha rilievo la mozione oggettiva dell'agente né è necessario che la condotta incriminata sia destinata o, quanto meno, potenzialmente idonea a rendere percepibile all'esterno ed a suscitare il riprovevole sentimento o, comunque , il pericolo di comportamenti discriminatori o di atti emulatori, giacché essa varrebbe ad escludere l'aggravante in questione in tutti i casi in cui l'azione lesiva si svolga in assenza di terze persone. (Nella specie la SC ha riconosciuto la sussistenza dell'aggravante in un caso di rapina, nel quale la pretesa del denaro era collegata alla ragione discriminatoria.)

    Secondo Giovanni D'Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori, uno stretto giro di vite al razzismo, visto che gli 'ermellini', mettono nero su bianco che ''il riferimento, gratuito con questa parola al pigmento dell'offeso, assume aggravante del significato intrinsecamente discriminatorio e razziale, solo che si rilevi che quasi ogni domenica negli stadi di questo paese talune tifoserie apostrofano con la parola negro il giocatore avversario, per non dire di cartelli esposti all'esterno di pubblici locali di talune citta'''.

    Lecce, 23 luglio 2010

 Giovanni D'Agata Componente del dipartimento Nazionale " TUTELA DEL CONSUMATORE " di Italia Dei Valori.


martedì 20 luglio 2010

Casalinghe tutelate a 360°, avranno diritto al risarcimento del danno patrimoniale.

Casalinghe tutelate a trecentosessanta gradi, avranno diritto anche al risarcimento del danno patrimoniale.

Infatti in caso di infortunio dovranno essere risarcite, oltrechè  del danno biologico, di quello patrimoniale. Non solo. Hanno diritto al ristoro anche se solitamente si avvalgono dell'aiuto della colf.

    Lo ha stabilito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 16896 del 20 luglio 2010, ha accolto il ricorso di una casalinga che si era ferita in un incidente stradale.

    La donna aveva chiesto al Tribunale di Trento, oltre al danno biologico, anche quelli patrimoniali. Aveva chiesto cioè che il suo lavoro in casa fosse quantificato e paragonato a quello di un lavoratore dipendente.

    Non solo. Il fatto che la signora potesse permettersi una colf non poteva far tramontare la speranza di un risarcimento patrimoniale. I giudici di merito non hanno condiviso questa linea difensiva. Poi le cose sono andate diversamente di fronte alla terza sezione civile della Suprema corte che, inserendosi in una linea interpretativa inaugurata qualche anno fa, ha affermato un principio che rafforza la tutela delle casalinghe anche se queste possono permettersi la colf.

    In fondo alle motivazioni si legge infatti che ""il pregiudizio economico che subisce una casalinga menomata nell'espletamento della sua attività in conseguenza di lesioni subite è pecuniariamente valutabile come danno emergente, ex art. 1223 cod civ. (richiamato "in parte qua" dal successivo art. 2056) e può essere liquidato, pur in via equitativa, anche nell'ipotesi in cui la stessa sia solita avvalersi di collaboratori domestici, perché comunque i suoi compiti risultano di maggiore ampiezza, intensità, responsabilità rispetto a quelli espletati da un prestatore d'opera dipendente". Non solo. "Nella liquidazione del danno alla persona, - scrivono i giudici nel passaggio successivo - il criterio di determinazione della misura del reddito previsto dall'art. 4 della legge 26 febbraio 1977, n. 39 (triplo della pensione sociale), pur essendo applicabile esclusivamente nei confronti dell'assicuratore della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, può essere utilizzato dal giudice, nell'esercizio del suo potere di liquidazione equitativa del danno patrimoniale conseguente all'invalidità, che i danno diverso da quello biologico, quale generico parametro di riferimento per la valutazione del reddito figurativo della casalinga".Il fondamento di tale diritto, secondo Giovanni D'Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori, specie quando la casalinga sia componente di un nucleo familiare legittimo (ma anche quando lo sia in riferimento ad un nucleo di convivenza comunque stabile) e' difatti, pur sempre di natura costituzionale, ma riposa sui principi di cui agli artt. 4 e 37 della Costituzione (che tutelano, rispettivamente, la scelta di qualsiasi forma di lavoro, e i diritti della donna lavoratrice), mentre il fondamento della risarcibilita' del danno biologico si fonda sul diverso principio della tutela della salute.

    Lecce, 20 luglio 2010

Giovanni D'Agata Componente del dipartimento Nazionale " TUTELA DEL CONSUMATORE " di Italia Dei Valori.

 

lunedì 19 luglio 2010

Vacanza rovinata, si può fare causa al tour operator per i disservizi che dipendono dall'operatore locale

Vacanza rovinata, il viaggiatore può fare causa al tour operator per i disservizi che dipendono dall'operatore locale. 

    Il componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori, Giovanni D'AGATA segnala la sentenza NRG 1714_98, depositata il 19 marzo 2010 del Tribunale di Padova che, ha dato ragione a un turista che in un viaggio in Australia, aveva avuto dei problemi con dei camper.

    Nei viaggi all'estero il viaggiatore può far causa direttamente al tour operator anche se il disservizio dipende dell'operatore turistico locale. Lo ha stabilito.Lo ha stabilito il

    In particolare secondo i giudici, "in tema di contratti atipici (nella specie, contratto di viaggio) il contratto concluso con l'intermediario legittima il viaggiatore - consumatore ad agire direttamente nei confronti dell'organizzatore (o tour operator) come diretta controparte contrattuale e responsabile in caso di inadempimento". Una sentenza secondo Giovanni D'AGATA, componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori, che arriva in un momento in cui  i recenti fatti di cronaca che vedono tragicamente protagoniste numerose donne, vittime per mano di uomini impongono una riflessione collettiva per promuovere la cultura del rispetto, affinché una diffusa sensibilità sul VALORE delle PERSONE che non sono cose da POSSEDERE sia una speranza di cambiamento.

    Ognuno di noi ha una responsabilità e dobbiamo ricordarci che promuovendo il rispetto, possiamo contribuire a fermare questi abusi. 

    Lecce, 19 luglio 2010


Giovanni D'Agata Componente del dipartimento Nazionale " TUTELA DEL CONSUMATORE " di Italia Dei Valori.


Polizze vita dormienti: i risparmiatori non sono tutti uguali

Comunicato stampa

I risparmiatori italiani non sono tutti uguali: si dividono, infatti, tra quelli di serie A e quelli di serie B.  

Sono di serie A quelli che, investendo sul mercato finanziario, sono rimasti vittime di frodi finanziarie e hanno sofferto un danno ingiusto non altrimenti risarcito, i quali, a norma di legge, hanno diritto ad essere indennizzati da un fondo statale all'uopo costituito. In proposito, nulla da eccepire: specialmente in questi tempi di finanza virtuale, di borse volatili, una maggiore tutela dei risparmiatori non è certo un fatto negativo.

Questo fondo viene finanziato con i cosiddetti "conti dormienti", cioè i conti di fatto abbandonati presso le banche e gli altri intermediari finanziari ed assicurativi, non reclamati dai titolari perché deceduti senza eredi o per altri motivi. E fin qui, ancora nulla da eccepire: si tratta di somme di denaro abbandonate, cose di nessuno che è giusto utilizzare per il bene comune invece che lasciarle nella libera disponibilità delle Banche.

La magagna, invece, esce fuori quanto, approfondendo la normativa che regolamenta la devoluzione dei conti dormienti allo Stato, si scopre che non solo vengono devoluti i saldi attivi dei conti correnti non utilizzati per dieci anni, dopo che una comunicazione della banca ha sollecitato il correntista ad attivarsi, ma anche le polizze vita non riscosse nei termini di prescrizione.

Ed ecco, siamo davanti ad una figura di risparmiatore di serie B, un povero disgraziato che, invece di investire in capitali di rischio, come le azioni e i vari prodotti finanziari, ha pensato bene di tutelare i propri risparmi, utilizzandoli in un prodotto più tranquillo e meno rischioso, come la polizza vita. Questo povero disgraziato, se solo si distrae un attimo, e dimentica che il capitale va riscosso in un periodo di prescrizione brevissimo (originariamente un anno, ora portato a due con questa perversa normativa) si vede scippare i risparmi di una vita, che vanno a risarcire chi, magari, ha rischiato grosso in borsa.

E' IL CLASSICO CASO DI UNA AZIONE AVVIATA CON TUTTE LE MIGLIORI INTENZIONI MA CHE PERO', STRADA FACENDO, PROVOCA PIU' DANNI DI QUELLI CHE VUOLE RIPARARE.

Al di là  dell'aspetto giuridico, che suscita notevoli perplessità, v'è da dire che la questione è criticabile sotto il profilo morale e dell'opportunità, proprio perché la normativa che è stata emanata al riguardo non tutela i risparmiatori di serie B, non imponendo, rispetto i conti dormienti, un accertamento del loro effettivo abbandono, del loro essere res nullius, ma, in maniera grossolana ed approssimativa, fa arraffare allo Stato tutto ciò che è arraffabile, scippando letteralmente dei risparmiatori per risarcirne altri.

ITALIA DEI VALORI ritiene che tutto questo non possa avvenire, e se ciò è  frutto di un errore del legislatore, questo errore deve essere corretto, ma se invece è frutto di una precisa intenzione politica, questa intenzione deve essere combattuta.

ITALIA DEI VALORI annuncia pertanto una iniziativa dei propri parlamentari, che a breve presenteranno una interrogazione parlamentare per chiarire se il Governo abbia intenzione di intervenire per sanare queste palesi ingiustizie, e formuleranno una proposta di Legge che elimini questo obbrobrio.

Nel frattempo, Giovanni D'Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori, e lo SPORTELLO DEI DIRITTI presso la sede provinciale di ITALIA DEI VALORI tuteleranno tutti i risparmiatori truffati da questa iniqua normativa, avviando le opportune iniziative, anche giudiziarie, ed invita, pertanto, tutti i titolari di polizze vita dormienti a rivolgersi allo Sportello per ricevere le opportune informazioni.

    Lecce, 19 luglio 2010      

Giovanni D'Agata Componente del dipartimento Nazionale " TUTELA DEL CONSUMATORE " di Italia Dei Valori.

 

sabato 17 luglio 2010

Maltrattamenti in famiglia: reato accusare moglie ingiustamente di non essere brava casalinga

Maltrattamenti in famiglia: è reato vessare e accusare ingiustamente la moglie di non essere una brava casalinga. 

    Risponde di maltrattamenti in famiglia il marito che, oltre ad essere autore di varie vessazioni, accusa ingiustamente la moglie di non prendersi cura della casa.

    Lo ha stabilito il Tribunale di Bari che, con una sentenza del 14 aprile 2010, ha confermato la condanna nei confronti di un uomo autore di continue vessazioni e minacce nei confronti della moglie che veniva continuamente accusata, fra l'altro, di non essere una brava casalinga.

    I maltrattamenti in famiglia - hanno spiegato i giudici pugliesi - integrano un'ipotesi di reato necessariamente abituale che si caratterizza per la sussistenza di una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali isolatamente considerati potrebbero anche non essere punibili ovvero non perseguibili ma acquistano rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo. Pertanto risponde del reato di maltrattamenti il marito che abitualmente assume atteggiamenti violenti nei confronti dei propri familiari, proferisce minacce, li sottopone a continui stati di vessazione ed accusa infondatamente il coniuge di poca cura nella gestione della casa familiare.

    Una sentenza secondo Giovanni D'AGATA, componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori, che arriva in un momento in cui  i recenti fatti di cronaca che vedono tragicamente protagoniste numerose donne, vittime per mano di uomini impongono una riflessione collettiva per promuovere la cultura del rispetto, affinché una diffusa sensibilità sul VALORE delle PERSONE che non sono cose da POSSEDERE sia una speranza di cambiamento.

    Ognuno di noi ha una responsabilità e dobbiamo ricordarci che promuovendo il rispetto, possiamo contribuire a fermare questi abusi. 

    Lecce, 17luglio 2010


Giovanni D'Agata Componente del dipartimento Nazionale " TUTELA DEL CONSUMATORE " di Italia Dei Valori.

venerdì 16 luglio 2010

CACCIA IN DEROGA. Italia conndannata da Corete di Giustizia




 

Comunicato del 16 luglio 2010

La Corte di Giustizia  Europea condanna l'Italia per la caccia in deroga a specie di uccelli protetti.

 

La Corte di Giustizia  Europea con la Sentenza C-753/08 di ieri 15 luglio 2010 ha condannato l'Italia per la violazione della Direttiva "Uccelli" a causa delle leggi approvate dalle regioni con le quali è stata autorizzata la caccia in deroga a specie di uccelli protetti.

Negli ultimi anni molte regioni italiane, con in testa il Veneto e la Lombardia, hanno concesso la caccia di uccelli protetti con la cosiddetta "caccia in deroga", passata da evento eccezionale a prassi acquisita.

Con la sentenza della Corte  il quadro normativo appare finalmente chiaro: le "deroghe" si definiscono tali perché sono misure eccezionali da assumere solo  in casi ben precisi; quando diventano un'abitudine, cosi' com'è accaduto in Veneto dove vengono concesse sin dai primi anni del 2000, non sono piu' "deroghe" ma "prassi".

Prima di questa sentenza la caccia in deroga era diventata prassi stabilita, praticamente un "diritto acquisito".

Con questa sentenza l'Italia ha subito una lezione di civiltà, la condanna della Corte di Giustizia Europea è uno smacco politico senza precedenti, in un solo colpo vengono messe a nudo le bugie, raccontate per anni, di assessori regionali, parlamentari  ed europarlamentari che giuravano che la caccia in deroga veniva esercitata nel "pieno rispetto delle deroghe".

I consiglieri regionali del Veneto del PDL e della LEGA, nonché la Giunta regionale Zaia, che nelle scorse settimane avevano presentato in Consiglio Regionale tre progetti di legge (i PPDLL n.21, 42 e 55), per far ripartire la caccia in deroga in Veneto, sono ora obbligati a fare marcia indietro.

Il 20 luglio infatti è stata addirittura fissata una convocazione della IV Commissione Consigliare per approvare un disegno di legge sulla caccia in deroga,  seduta durante la quale saranno sentite le associazioni ambientaliste, venatorie ed agricole.

Con i suddetti progetti di legge si voleva far cacciare specie di uccelli utili all'agricoltura come il Fringuello, la Peppola, la Pispola, il Prispolone, il Frosone e lo Storno unica specie divoratrice del dannosissimo bruco americano.

"Tutta la società civile dovrebbe chiedere al Parlamento italiano – ha dichiarato Andrea Zanoni presidente della Lega per l'Abolizione Caccia del Veneto – di approvare una legge con la quale venga previsto che chi paga le spese e le sanzioni europee per la caccia in deroga non siano tutti i cittadini italiani, bensi' tutti gli assessori, consiglieri regionali, europarlamentari che hanno approvato queste disposizioni illecite.

Finalmente, dopo anni di attesa sono state smascherate le menzogne durate dieci anni dei sostenitori della caccia in deroga, vedremo quali altre bugie racconteranno ora ai cacciatori."

 

Lega per l'Abolizione della Caccia

Sezione del Veneto - Via Cadore 15/C int. 1 - 31100 Treviso Tel. 347/9385856 e-mail: lacveneto@ecorete.it 

web: www.lacveneto.it

Riconosciuta dal Ministero dell'Ambiente ex Legge 8 luglio 1986, n. 349 come associazione ambientalista


lunedì 12 luglio 2010

Cassazione; illegali dispositivi "splitter" (o "splitty")

Cassazione, i dispositivi "splitter" (o "splitty") sono illegali. 

    Il componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori, Giovanni D'AGATA, segnala un'importante sentenza sulla liceità della vendita degli apparati per la visione "multipla" di programmi satellitari protetti, annullando e ribaltando di fatto le precedenti decisioni di merito

    I dispositivi "splitter" (o "splitty") sono illegali, illegale è la loro vendita e l'utente che voglia fruire delle trasmissioni satellitari cifrate su più televisori deve accendere tanti abbonamenti quanti sono necessari. La nuova sentenza della Corte di Cassazione in materia di hi-tech ed elettronica di consumo arriva a pochi giorni da quella sui modchip per console, ribadendo lo stesso principio secondo cui il controllo dei dispositivi è di esclusiva pertinenza di produttori e fornitori di servizi e gli utenti non hanno alcun diritto "garantito" di sfruttarli a loro vantaggio oltre le specifiche consentite anche se hanno già pagato il dovuto.

    La vicenda parte con la denuncia, da parte di Sky, di alcuni rivenditori online di splitter per decoder satellitari. Uno splitter serve a replicare il segnale di un abbonamento alla pay-tv di Murdoch su più decoder: il primo decoder è quello deputato a decriptare le trasmissioni protette mentre gli altri si limitano a ricevere il segnale decodificato e a visualizzarlo sulla TV.

    Un tipo di pratica assolutamente legittima, avevano in precedenza deciso la corte di primo e secondo grado. Chiamata in causa dal ricorso di Sky, la Corte di Appello di Trento si era spinta sino a dichiarare che "il fatto non sussiste" perché lo splitter non è "un autonomo sistema di decrittazione, né un espugnatore di segnali codificati, né un duplicatore di schede originali, né un sistema idoneo a permettere la visione di ciò che non sarebbe stato visibile".

    Lecce, 12 luglio 2010

Giovanni D'Agata Componente del dipartimento Nazionale " TUTELA DEL CONSUMATORE " di Italia Dei Valori.

 




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domenica 11 luglio 2010

Multe nelle zone blu illegittime: un giudice condanna il Comune di Palermo

Le multe nelle zone blu sono illegittime: un giudice condanna il Comune 

    Le multe nelle zone blu sono illegittime. Lo ha stabilito il giudice di pace Antonino Lazzara accogliendo il ricorso presentato da un cittadino contro il Comune di Palermo sulla base delle norme del codice della strada che vietano l'esistenza di aree di parcheggio tariffate all'interno delle carreggiate.

    La conclusione alla quale perviene il il Giudice di Pace e quella che " non è consentito istituire aree a pagamento all'interno delle carreggiate. e le zone col ticket devono essere poste al di fuori degli assi di transito delle automobili ".

    Si tratta di una decisione chiave che potrebbe far cadere una scure su gran parte delle zone tariffate dei Comuni.

    La causa nasce dall'opposizione a un verbale di accertamento per non aver esposto la scheda parcheggio in una zona blu.

    La decisione del giudice di pace richiama una sentenza del 2008 della seconda sezione civile della Cassazione, che aveva rilevato nel codice stradale la distinzione tra sosta e parcheggio.

    Secondo la sentenza, non sarebbe legittimo far pagare la sosta quando questa avviene in aree poste all'interno della carreggiata, mentre la sosta regolamentata e subordinata al pagamento di una tariffa sarebbe ammissibile solo nelle aree di parcheggio esterne alla carreggiata e specificamente adibite a questo scopo.

    Il Giudice di Pace non si è invece pronunciato sull'assenza di aree di sosta non tariffate limitrofe a quelle a pagamento.

    Ma proprio questo potrebbe aprire la strada a nuovi scontri giudiziari: già una sentenza della Cassazione aveva stabilito la nullità delle multe alle auto in sosta nelle aree a pagamento se accanto non è stato predisposto anche un parcheggio libero. Sulla base di questa decisione due anni fa il Tar del Lazio fece saltare le zone blu nel quartiere romano di Ostiense.

    E' da tempo che il componente del Dipartimento Tutela del Consumatore di IDV, Giovanni D'AGATA si batte a suon di ricorsi e di interventi sulla stampa contro l'abuso dell'utilizzo di strisce blu, divenute un vero e proprio nuovo balzello comunale ritenendo si tratti di una forma di vessazione nei confronti dei cittadini. E' da troppo tempo che le amministrazioni interpretano le norme a loro vantaggio per il solo fine di battere cassa, questo sistema deve finire i cittadini non vanno considerati come sudditi della politica ma è la politica che deve essere al servizio della comunità.

     

    Lecce, 11 luglio 2010 

Giovanni D'Agata Componente del dipartimento Nazionale " TUTELA DEL CONSUMATORE " di Italia Dei Valori.


venerdì 9 luglio 2010

Immigrazione. Consulta: aggravante di clandestinità è discriminatoria

Immigrazione: per la Consulta "l'aggravante di clandestinità è discriminatoria" 

    Il componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del consumatore" di Italia dei Valori Giovanni D'AGATA, ritiene opportuno riportare l'attenzione sulla sentenza n. 249 della Consulta resa nota soltanto oggi.

    L'aggravante della clandestinità introdotta con il primo pacchetto sicurezza Berlusconi nel luglio del 2008 è incostituzionale perché "discriminatoria". Per la Corte la norma e' in contrasto con il principio di uguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione 'che non tollera diversita' di trattamento'. L'aggravante e' in contrasto anche con l'articolo 25 della Carta 'che prescrive in modo rigoroso che un soggetto debba essere sanzionato per le condotte tenute e non per le sue qualita' personali'.

    I giudici, dopo aver considerato legittimo il reato di clandestinità, hanno spiegato che è ingiusto ritenere più gravi "i comportamenti degli stranieri irregolari rispetto a identiche condotte poste in essere da cittadini italiani e comunitari".

    Secondo i Giudici, la legge appena bocciata "si basa, sulla presunzione generale e assoluta della maggiore pericolosità dell'immigrato irregolare con conseguenze sulle sanzioni che gli vengono imposte qualunque sia la norma penale che viene violata". Un tipo di discriminazione lampante che,  veniva consacrata "con la modifica introdotta dall'articolo 1 comma 1 della legge 94/2009" a causa della quale "è stata esclusa l'applicabilità dell'aggravante per i cittadini di Paesi appartenenti all'Unione europea, neanche nel caso nell'ipotesi più grave di inottemperanza a un provvedimento di allontanamento".

    La fattispecie dell'aggravante di clandestinità, continua a sottolineare la Corte "ha posto le premesse per possibili duplicazioni o moltiplicazioni sanzionatorie, tutte originate dalla qualità acquisita con un'unica violazione delle leggi sull'immigrazione, ormai oggetto di autonoma penalizzazione, e tuttavia priva di qualsivoglia collegamento con i precetti penali in ipotesi violati dal soggetto interessato". La proposta di stampo smaccatamente Leghista, concludono i giudici, viola anche l'articolo 25 della Carta che prevede, come noto, la sanzione comminata ad un individuo non per le sue qualità personali ma in via esclusiva per la sua condotta. Ciò perchè, come si legge nella parte finale della sentenza "Il giudizio di pericolosità di un soggetto deve essere il risultato di valutazioni fatte caso per caso e non può essere dedotta automaticamente". Altro dettaglio importante da ricordare riguarda le ultime modifiche legislative apportate dalla maggioranza di governo; modifiche che hanno trasformato l'ingresso e il soggiorno illegale nel territorio in precedenza considerato un illecito amministrativo in vero e proprio reato e, di fatto, hanno quindi già provveduto ad un inasprimento delle contromisure per chi arriva in Italia da clandestino.

    Lecce, 08 luglio 2010

Giovanni D'Agata Componente del dipartimento Nazionale " TUTELA DEL CONSUMATORE " di Italia Dei Valori.



mercoledì 7 luglio 2010

Guida e alcool. Cassazione: nessun collegamento diretto tra il mezzo e l'abuso dell'autorizzazione.

Guida e alcool. Secondo la Cassazione, nessun collegamento diretto tra il mezzo e l'abuso dell'autorizzazione.

Illegittima la sospensione della patente se per il mezzo non è richiesta abilitazione 

    Una sentenza della Cassazione la n. 19646 della Sezione IV penale del 25 maggio 2010 in materia di circolazione stradale che sicuramente farà discutere secondo Giovanni D'AGATA, componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori dopo l'articolo sulla confisca del mezzo per guida in stato di ebbrezza.

    In un recente caso al conducente di un ciclomotore Ape Piaggio era stata applicata in sede di patteggiamento la pena di mesi tre di arresto e un'ammenda per i reati di guida in stato di ebbrezza alcolica e di rifiuto di sottoporsi all'accertamento del tasso alcolemico che prevedeva la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un anno.

    Il conducente ricorre così in Cassazione che accoglie il ricorso.

    Difatti, per la Cassazione detta sospensione è illegittima in quanto per la guida dell'Ape non era richiesta alcuna abilitazione.

    La Corte, richiamando altre pronunce ha affermato che "non può essere applicata la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, conseguente per legge a illeciti posti in essere con violazione delle norme sulla circolazione stradale, a colui che li abbia commessi conducendo veicoli per la cui guida non sia richiesta alcuna abilitazione".

    Il motivo è presto detto: in questi casi non sussiste alcun collegamento diretto tra il mezzo con il quale il reato è stato commesso e l'abuso dell'autorizzazione amministrativa, in conseguenza del quale va applicata la sanzione accessoria (Cass. Sez. IV, 17 marzo 1999, n. 867).

    Lecce, 07 luglio 2010      

Giovanni D'Agata Componente del dipartimento Nazionale " TUTELA DEL CONSUMATORE " di Italia Dei Valori.




martedì 6 luglio 2010

Stalking. Cassazione: sufficienti 2 episodi soli per misure di sicurezza

Stalking, per la Cassazione sono sufficienti due soli episodi per misure di sicurezza 
 

    Nuovo giro di vite della Cassazione per combattere il fenomeno dello Stalking.

    La Cassazione bacchetta i giudici di merito ad emettere subito provvedimenti di sicurezza come gli ordini di allontanamento o l'obbligo di dimora nei confronti del molestatore a tutela delle vittime di stalking.

    Bastano due atti di molestia per far scattare la protezione della vittima, sottolineano i supremi giudici invitando i loro colleghi, che raccolgono le denunce delle donne in pericolo, a non sottovalutare i rischi degli «atti persecutori». in base al reato punito dall'art. 612 bis c.p.

    In particolare la Quinta sezione penale della Suprema Corte con la sentenza 25527 - ha accolto il reclamo con il quale la Procura di Chieti aveva protestato contro la decisione del Tribunale della Libertà di non concedere misure di tutela a una moglie separata perseguitata dall'ex marito, con rischi anche per i figli minori con lei conviventi.

    In prima istanza anche il gip di Chieti aveva detto 'no' alla 'protezione' della donna.

    Un'importante sentenza secondo Giovanni D'AGATA, componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori, in un momento in cui si sta verificando un escalation di episodi di stalking spesso alla ribalta delle cronache giudiziarie con vessazioni messe in atto in particolare da mariti o ex conviventi quando si separano dalla compagna.  

    Lecce, 6 luglio 2010         

Giovanni D'Agata Componente del dipartimento Nazionale " TUTELA DEL CONSUMATORE " di Italia Dei Valori.




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Stupefacenti: nuova stretta sulle coltivazioni fai da te di sostanze stupefacenti.

Stupefacenti: nuova stretta sulle coltivazioni fai da te di sostanze stupefacenti. Anche i soli semi di canapa possono essere sequestrati 

    Da Piazza Cavour nuova stretta sulle coltivazioni fai da te di sostanze stupefacenti. Possono essere sequestrati i semi di canapa se venduti insieme ad opuscoli illustrativi delle modalità di coltivazione di piante di cannabis.

    È la sentenza emessa dalla Corte di Cassazione sulla vicenda giudiziaria di un giovane di Ruvo di Puglia nel negozio del quale erano stati sequestrati i semi di cannabis, gli opuscoli e il materiale che spiegava come coltivare la canapa e gli attrezzi per il consumo. Infatti contro l'ordinanza di sequestro di questo materiale il proprietario dei prodotti aveva presentato attraverso il suo legale un ricorso nel quale chiedeva la restituzione almeno dei semi di canapa. I giudici della Sesta Sezione Penale però hanno confermato il sequestro. «È vero che il mero possesso di semi di canapa, non aventi contenuto stupefacente, non integra alcun reato contemplato dalla legge - hanno scritto i giudici nella motivazione della sentenza- ma essi ben possono rivestire, in correlazione con altre cose sequestrate (in particolare opuscoli illustrativi delle modalità di coltivazione di piante di cannabis) prova dell'attività di induzione all'uso illecito di sostanze stupefacenti».

    Secondo il componente del Dipartimento Tematico "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori, Giovanni D'AGATA il nuovo giro di vite della Cassazione sulle coltivazioni fai da te di sostanze stupefacenti è un'ottima notizia, perché pone uno sbarramento posto che da circa un anno a questa parte sono aumentati i sequestri di quantitativi di droga.. 

    Lecce, 06 luglio 2010   

Giovanni D'Agata Componente del dipartimento Nazionale " TUTELA DEL CONSUMATORE " di Italia Dei Valori.



sabato 3 luglio 2010

Maltrattamento animali: delitto contro essere vivente

Il maltrattamento di animali non è più un delitto contro il patrimonio ma contro l'essere vivente 

    Il componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori, Giovanni D'AGATA segnala la sentenza 24734 resa in data 01/07/2010 dalla Corte di Cassazione penale che evidenzia come con l'introduzione dell'art. 544 ter nel codice penale gli animali devono essere tutelati in quanto esseri viventi, non solo come proprietà di qualcuno aumentando dunque le pene previste dall'art. 638 inserito tra i reati contro il patrimonio.

    Quindi, chi procura lesioni gravi a un animale e lo sevizia senza motivo e con crudeltà risponde di maltrattamenti di animali, un preciso capo di imputazione introdotto nel codice penale dalla legge del 2004.

    La decisione in epigrafe, dunque, evidenzia il mutamento dell'orientamento giurisprudenziale a seguito dell'introduzione dello specifico reato segnando un inasprimento contro le sevizie agli amici a quattro zampe.

    Nel caso di specie, infatti, è stato respinto il ricorso di un uomo calabrese condannato nel merito a 200 euro di multa per aver seviziato il suo cane, per il reato previsto dall'art. 638 c.p. che punisce chi uccide o danneggia animali altrui senza necessità.

    La Suprema Corte ha riformato la sentenza, confermando comunque la condanna, ritenendo che la condotta dell'uomo non integrasse il reato previsto dall'art. 638, ma il nuovo e più grave delitto ai sensi dell'art. 544 ter del codice penale, che sanziona chi sevizia gli animali senza motivo o con crudeltà.

    I giudici di piazza Cavour hanno infatti chiarito che il reato di maltrattamenti di animali "si differenzia dal reato ex art. 638 c.p, rientrando tale disposizione tra i delitti contro il patrimonio, in cui il bene protetto è la proprietà privata dell'animale, sicché muta l'elemento soggettivo, costituito, nel reato di cui all'art. 638 c.p., dalla coscienza e volontà di produrre, senza necessità, il deterioramento, il danneggiamento o l'uccisione di un animale altrui e nel quale, diversamente dal delitto di cui all'art. 544 ter c.p., che tutela il sentimento per gli animali".

    Lecce, 03 luglio 2010           

Giovanni D'Agata Componente del dipartimento Nazionale " TUTELA DEL CONSUMATORE " di Italia Dei Valori.




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venerdì 2 luglio 2010

Cassazione: non sono maltrattamenti se il partner ha un carattere forte e non è intimorito

Cassazione: non sono maltrattamenti se il partner ha un carattere forte e non è intimorito 

    Una sentenza della Cassazione la n. 25138 di oggi della I sezione penale in materia di maltrattamenti in famiglia ha fatto il già il giro dei media e sicuramente farà discutere secondo Giovanni D'AGATA, componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori.

Per la Suprema Corte non risponde di maltrattamenti chi aggredisce il partner dal carattere forte e che non risulta intimorito psicologicamente dalle percosse, verbali o fisiche.

E' quanto ha stabilito la Suprema Corte che  ha accolto il ricorso di un uomo contro la sentenza che lo condannava per aver maltrattato la moglie per 3 anni. Secondo la Corte i giudici di primo e secondo grado "hanno scambiato per sopraffazione un semplice clima di tensione" familiare essendo la donna "per nulla intimorita" dal comportamento del coniuge e piuttosto "scossa, esasperata, molto carica emotivamente". Se la moglie ha un carattere forte è possibile maltrattarla senza essere per questo perseguibili dalla legge.

    Lecce, 02 luglio 2010   

Giovanni D'Agata Componente del dipartimento Nazionale " TUTELA DEL CONSUMATORE " di Italia Dei Valori.

 

 




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Stalking, il Questore può ammonire chi si apposta sotto l'abitazione del coniuge separato

  Il Questore può ammonire per stalking chi si apposta sotto l'abitazione del coniuge separato 
 

    Il Questore può ammonire per stalking chi si apposta continuamente sotto l'abitazione dell'ex coniuge, al di là di un eventuale procedimento penale.

    Lo ha stabilito il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia III° Sezione con la sentenza n° 02639/2010 che ha respinto il ricorso di un cittadino avverso rigetto di un ricorso amministrativo su un provvedimento con il quale lo stesso era stato ammonito a tenere una condotta con conforme alla legge, ai sensi dell'art. 8, comma 2, D. L. 23 febbraio 2009 n. 11, in quanto identificato come autore di atti persecutori nei confronti della moglie.

    Nel caso di specie, infatti, il Collegio ha ritenuto sussistenti i presupposti per le misure amministrative introdotte dal d. l. 23 febbraio 2009 n. 11 (convertito, con modificazioni, in legge 23 aprile 2009 n. 38), al fine di assicurare una maggiore tutela della sicurezza della collettività, a fronte dell'allarmante crescita degli episodi collegati alla violenza sessuale, attraverso l'introduzione di una disciplina organica in materia di atti persecutori.

    In particolare, ai sensi dell'art. 8, fino a quando non è proposta querela per il reato di atti persecutori di cui all'articolo 612-bis del codice penale (introdotto dall'articolo 7 dello stesso decreto legge), la persona offesa può esporre i fatti all'autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell'autore della condotta.

    Un'importante sentenza secondo Giovanni D'AGATA, componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori, in un momento in cui si sta verificando un escalation di episodi di stalking spesso alla ribalta delle cronache giudiziarie e che conferma l'utilità dei poteri dell'autorità amministrativa, in questo caso il Questore, la quale assume il potere di dissuadere il "persecutore" dal persistere nel suo atteggiamento in una fase in cui la condotta non abbia rilevanza penale ed ancora per dare alle vittime, spesso familiari o legate da vincoli affettivi con i persecutori, la possibilità di farli richiamare a condotte non lesive evitando di sporgere la denuncia penale.

    Lecce, 02 luglio 2010    

Giovanni D'Agata Componente del dipartimento Nazionale " TUTELA DEL CONSUMATORE " di Italia Dei Valori.



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