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venerdì 29 ottobre 2010

Incredibile ma vero. Quando l' autovelox sbaglia.

Incredibile ma vero. Quando l'autovelox sbaglia. Una cittadina multata da due comuni diversi della provincia di Cosenza (Amendolara e Rocca Imperiale) per la stessa identica infrazione e con due verbali identici.

Incredibile ma vero il caso che è stato rappresentato a Giovanni D'Agata, Componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori e fondatore dello "Sportello dei Diritti".

Non è dato sapere se quello che stiamo per raccontare abbia dei precedenti a livello nazionale, ma tanto basta per rimettere ancora una volta in discussione la presunta infallibilità dell'autovelox o degli apparecchi di rilevazione elettronica della velocità in generale.

Nel caso in questione, la proprietaria di un'autovettura si è vista recapitare a distanza di pochi giorni l'uno dall'altro, due verbali perfettamente identici in quanto riportanti il superamento del limite di velocità e quindi la violazione dell'art. 142 comma 8 del Codice della Strada allo stesso giorno, alla stessa ora, nello stesso tratto di strada, alla stessa velocità rilevata e dallo stesso agente accertatore ed elevati dai Corpi di Polizia Municipale di due comuni diversi in particolare il Comune di Rocca Imperiale ed il Comune di Amendolara.

Chiaramente la cittadina ha pensato subito di contattare lo "Sportello dei Diritti" per farsi predisporre i ricorsi a questi a dir poco sorprendenti atti di accertamento, rilevando l'evidente e grave vizio di forma determinato da un cosiddetto "copia - incolla" da parte degli accertatori dell'infrazione anche perché non è dato sapere quale dei due verbali corrisponderebbe al fatto storico effettivamente rilevato.

E' palese, infatti, che la notifica dello stesso verbale da parte di due diversi Enti della P.A. abbia compromesso il "diritto alla difesa" costituzionalmente garantito all'art. 24 della Carta, non avendo, peraltro, la possibilità di conoscere con esattezza quale dovrebbe essere la presunta infrazione eventualmente da contestare essendo perfettamente identici i due verbali così come i fatti ivi riportati.

Lecce, 28 ottobre 2010

Giovanni D'Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori

sabato 23 ottobre 2010

Sesso online e ragazze in webcam in cambio di soldi: Cassazione è sfruttamento della prostituzione



 Sesso on-line e ragazze in web-cam in cambio di soldi: secondo la Cassazione è sfruttamento della prostituzione  

    Un fenomeno in continua espansione il sesso in rete tramite web-cam. Un giro d'affari in vorticosa crescita in Italia come nel resto del mondo, ma la Corte di Cassazione con una decisione recente pone un argine, almeno dal punto di vista penale al sesso on-line a pagamento che vede coinvolte e sfruttate migliaia di donne in ogni luogo ed è per questo che Giovanni D'Agata, Componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori e fondatore dello "Sportello dei Diritti" ritiene particolarmente significativo il pronunciamento in questione.

    Secondo la Suprema Corte è punibile per sfruttamento della prostituzione il soggetto reo di aver pagato per vedere prestazioni sessuali in videoconferenza così come chi offre il collegamento in rete ed i relativi.

    La Terza Sezione Penale della Cassazione, con la decisione in discussione ha, infatti, confermato la condanna inflitta dalla Corte d'Appello di Firenze nei confronti di un gestore di un nightclub, assieme alla sua segretaria e al responsabile della security.

    Gli imputati erano stati condannati per aver favorito e sfruttato la prostituzione attraverso questo tipo di esibizioni fatte nel locale da spogliarelliste ma avevano proposto ricorso contro il pronunciamento di merito argomentando che questo tipo di esibizioni non potevano rientrare nel reato di sfruttamento della prostituzione.

    Gli ermellini hanno motivato la decisione secondo il principio per cui le prestazioni sessuali eseguite in videoconferenza in modo da consentire al fruitore delle stesse di interagire in via diretta e immediata con chi esegue la prestazione, con la possibilità di richiedere il compimento di atti sessuali determinati, assumono il valore di atto di prostituzione e configurano il reato di sfruttamento della prostituzione.

    Si tratta di atti, dunque, che configurano il reato di sfruttamento della prostituzione a carico di coloro che abbiano reclutato gli esecutori delle prestazioni o ne abbiano consentito lo svolgimento creando i necessari collegamenti via Internet o ne abbiano tratto guadagno.

    Ma v'è di più. I giudici di piazza Cavour precisano che è da ritenersi irrilevante la circostanza che chi si prostituisce e il fruitore della prestazione si trovino in luoghi diversi, in quanto il collegamento in videoconferenza consente all'utente di interagire con chi si prostituisce in modo tale da poter richiedere a questi il compimento di atti sessuali che vengono immediatamente percepiti da chi ordina la prestazione sessuale a pagamento.

      Lecce, 23 ottobre 2010         

Giovanni D'Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori


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venerdì 8 ottobre 2010

Autovelox, multa nulla in centro abitato se non c'è contestazione immediata


Autovelox, nulla la multa in centro abitato se non vi è la contestazione immediata. Nuovi spiragli per i contravventori. 

    La tesi sostenuta più volte da Giovanni D'AGATA, componente del Dipartimento Tematico "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori e fondatore dello "Sportello dei Diritti" secondo cui nei centri urbani è obbligatoria la contestazione immediata dell'infrazione per superamento del limite di velocità contestata a mezzo autovelox è confermata dalla recente sentenza 23 giugno 2010, n. 467 pronuncia del Tribunale di Viterbo che ha accolto l'appello proposto dal proprietario di un'autovettura riformando in questo modo la sentenza del giudice di pace impugnata, sulla base dell'assunto che, in base ad un'interpretazione sistematica della normativa di riferimento in particolare del comma 4, in maniera congiunta al comma 1 del medesimo articolo 4 della legge 1.8.2002, n. 168, qualora l'infrazione rilevata con apparecchiatura elettronica sia stata rilevata su strada urbana permane l'obbligo della contestazione immediata, pena l'inapplicabilità della sanzione.

    Tale principio scaturente ictu oculi dalla normativa in questione è spesso stato disatteso da buona parte della giurisprudenza, anche di legittimità che con decisioni spesso contrastanti si è occupata della materia.

    Infatti, la Corte di Cassazione in diverse decisioni (tra le pronunce più recenti si veda Cass. civ., sez. II, sentenza 30.4.2009, n. 10156, nonché Cass. civ., sez. II, 27.10.2005, n. 20873) ha sostenuto la superfluità della contestazione immediata dell'infrazione se rilevata con una delle apposite apparecchiature automatizzate, agganciando il principio - con un interpretazione singolare e restrittiva - al tenore letterale del quarto comma dell'articolo quattro della legge 1.8.2002, n. 168 che prevede in caso di utilizzo di autovelox o simili sistemi l'assenza dell'obbligo di contestazione immediata di cui all'articolo 200 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.

    Tale orientamento, però ha finito con l'apparire quale un ulteriore contributo ai comuni e agli altri enti che utilizzano le cosiddette multe seriali al fine di "far cassa" anche all'interno dei centri urbani.

    La sentenza in discussione, secondo Giovanni D'AGATA, riporta la questione ad un riequilibrio e nell'ambito di un interpretazione che riteniamo sostanzialmente più corretta dell'intero impianto della normativa.

    Lecce, 08 ottobre 2010                        

Giovanni D'Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori.

mercoledì 6 ottobre 2010

Giro di vite della Cassazione sui dispetti tra coinquilini

Cassazione penale. Risponde dei reati di deturpamento o imbrattamento di cose il vicino di casa dispettoso: giro di vite della Cassazione sui dispetti tra coinquilini 

    Farà  ridere i più l'epilogo di una classica vicenda tra dirimpettai, ma riderà di meno, senz'alcun dubbio, il cittadino che per reagire a dei torti subiti aveva sparso della terra sulle loro auto e per aver epitetato "vigliacchi" i vicini rischia di essere condannato a seguito di una sentenza della cassazione.

    La rigorosa sentenza della cassazione penale ha infatti posto le basi per un giro di vite nei confronti degli scherzi e dispetti tra condomini secondo Giovanni D'AGATA, componente del Dipartimento Tematico "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori e fondatore dello "Sportello dei Diritti".

    Nel caso in esame, gli ermellini hanno deciso di annullare una sentenza di assoluzione del Giudice di Pace resa nei confronti di un vicino dispettoso.

    Come detto, il 32enne aveva sparso della terra sulle auto dei vicini per reagire ad un torto subito, che avevano provveduto a querelarlo sino farlo imputare per il reato d'imbrattamento e deturpamento di cui all'articolo 639 del codice penale e per il reato d'ingiuria avendoli apostrofati come "vigliacchi".

     Il Giudice di Pace aveva deciso per l'assoluzione "perchè il fatto non costituisce reato", poiché "la terra buttata sulle vetture avrebbe potuto facilmente essere rimossa e dunque non aveva scalfito i veicoli". Contemporaneamente l'imputato era stato assolto anche dall'accusa di ingiuria poiché secondo la corte di merito il termine "vigliacchi" sarebbe entrato nell'"uso comune".

    La Suprema Corte, investita da un ricorso ha annullato la decisione di merito rinviando la causa per un nuovo esame.

    I giudici di piazza Cavour hanno ritenuto "illegittima" l'assoluzione dall'accusa di imbrattamento e deturpamento "solo in base al dato inerente alla facile rimozione delle stesso elemento usato per imbrattare, vale a dire la terra sguinzagliata sui veicoli altrui", ciò che "resta sufficiente ad integrare la fattispecie criminosa - scrive la Corte - è proprio la condotta di materiale mutamento delle condizioni in cui il bene altrui si trovava, in modo da alterarne l'aspetto".

    Per quanto concerne il reato d'ingiuria, il giudice di legittimità sostiene che "una prassi o un uso comune del linguaggio non vale ad escludere l'offesa alla dignità e all'onore del soggetto passivo, trattandosi di termine ('vigliacchi') evidentemente dispregiativo".

    Lecce, 06 ottobre 2010                     

Giovanni D'Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori.

FINANZIAMENTI ALLE IMPRESE "GREEN"

FINANZIAMENTI: BEI E UE FINANZIANO LE IMPRESE “GREEN”

La BEI (Banca Europea per gli Investimenti) ha recentemente stanziato 550 milioni di Euro in favore delle PMI in virtù di un accordo stipulato con Unicredit Leasing che prevede l’apertura di due linee di credito entrambe garantite dalla holding del gruppo Unicredit.

La prima linea di credito, per l’importo di 350 milioni di Euro andrà a supportare gli investimenti delle PMI attraverso prestiti della durata massima di 15 anni. La seconda linea di credito metterà invece a disposizione delle PMI 200 milioni di Euro in favore di progetti nel campo delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica a mezzo di finanziamenti con un orizzonte temporale massimo di 20 anni.

La concessione del finanziamento eleva ad un miliardo di Euro l’ammontare dei finanziamenti concessi dalla BEI al gruppo Unicredit, con cui vanta una consolidata collaborazione. L’Italia, congiuntamente a Regno Unito, Francia e Germania, è uno dei quattro maggiori azionisti della BEI, che sostiene la politica e gli obiettivi strategici dell’Unione Europea concedendo finanziamenti a lungo termine per progetti economicamente validi.

Quello ad Unicredit non è, peraltro, l’unico finanziamento in tema di energie rinnovabili e sviluppo sostenibile ad essere concesso a livello europeo, a riprova di un interesse sempre crescente delle istituzioni sovranazionali verso questa tematica.

L’Unione europea, attraverso il progetto Life+ 2010 ha infatti messo a disposizione delle organizzazioni italiane 21 milioni di Euro nell’ambito di un programma di cofinanziamento di progetti nelle aree “natura e biodiversità”, “politica ambientale e governance” e “informazione e comunicazione ambientale” la cui valutazione sarà resa nota nella primavera del 2011.

Lo stesso Commissario UE Janez Potocnik, in occasione degli European Business Awards for the Environement, Premi per le Imprese pioniere nell’innovazione “verde” tenutisi a Bruxelles in occasione della Green Week, la settimana verde europea, ha inoltre definito l’ambiente “un fattore di innovazione” che ci consente di coordinare in modo più efficace i nostri obiettivi economici, sociali ed ambientali. L’innovazione ed i processi tecnologici legati ad uno sviluppo sostenibile avrebbero dunque un risvolto economico di grande importanza per l’auspicata ripresa economica. I finanziamenti europei concessi, unitamente al fiorire di iniziative in materia sottolineano con quale fiducia si guardi a tali strumenti per il futuro.

Avv. Giulia Aiudi

Studio Legale Di Lembo
avv.aiudi(chiocciola)pdlstudio.it

sabato 2 ottobre 2010

Lavoro: non immune da condanna per ingiuria il datore di lavoro che prende a parolacce il dipendente

 Non è immune da condanna per ingiuria il datore di lavoro che prende a parolacce il dipendente 

    Se alcuni superiori, tracotanti di potere datoriale, si sentivano immuni da condanne per aver bistrattato i propri dipendenti finanche con ingiurie, a seguito della sentenza della Cassazione Penale numero 35099 del 29 settembre 2010 dovranno dimostrarsi ben più educati sul luogo di lavoro.

    Così Giovanni D'Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di IDV e fondatore dello "Sportello Dei Diritti" commentando la decisione della Suprema Corte secondo cui il datore di lavoro che insulta il dipendente ricorrendo anche ad offese volgari risponde di ingiuria. Non costituisce scriminante, infatti né il contesto lavorativo o la spiccata sensibilità del dipendente ed anzi l'ambiente di lavoro deve garantire pari dignità a tutti i soggetti coinvolti.

    Nel caso di specie, gli ermellini hanno rigettato il ricorso di un imprenditore condannato per ingiuria a una multa ed hanno quindi confermato anche il diritto al risarcimento della persona offesa.

    La lavoratrice era stata richiamata dal superiore e questi, in conseguenza della sua reazione aveva replicato "sei una str.. se te la prendi".

    La difesa aveva sostenuto che l'espressione usata era ormai tipizzata nel linguaggio comune romanesco ed era stata detta nel senso di una frase "bonaria, rassicurante, e non offensiva".

    I giudici di piazza Cavour nel rigettare la tesi difensiva, hanno motivato che la dipendente non era "affatto tenuta a sottostare all'uso di epiteti di disprezzo e di disistima in virtù delle generali scelte di espressione del datore di lavoro" ed hanno sottolineato che "nel nostro ordinamento il contesto lavorativo è caratterizzato da una pari dignità dei suoi protagonisti, da una pari effettività di tutta la normativa senza che possa invocarsi, per nessuna delle parti, una desensibilizzazione alle altrui trasgressioni".

 Giovanni D'Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori.

venerdì 1 ottobre 2010

Moglie casalinga non ha diritto alla meta' dell'immobile

Casalinga e moglie ma non ha diritto alla metà dell'immobile costruito in costanza di matrimonio sul terreno del marito

 

 

    Se gli italiani ritengono storicamente quello della casalinga un vero e proprio lavoro che contribuisce al buon andamento della vita familiare e quindi allo sviluppo dei singoli componenti, secondo Giovanni D'Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di IDV e fondatore dello "Sportello Dei Diritti", la singolare sentenza della Cassazione n. 20508 del 30 settembre 2010 ne sminuisce in un sol colpo il diritto a ritenersi proprietaria della metà dell'immobile costruito sul terreno del marito nel corso del matrimonio, pur essendo in comunione dei beni.

    Almeno è questo il principio sancito dalla Suprema Corte a seguito del rigetto di un ricorso da parte di una moglie che chiedeva il diritto alla metà dell'immobile fabbricato sul terreno del marito pur avendo contribuito al menage familiare ma non avendo dimostrato di avervi contribuito economicamente in via diretta.

    Pur avendo sostenuto di essere in comunione dei beni ed avendo contribuito alla vita familiare con il suo lavoro in casa arrivando a definirlo quale "lavoro manageriale diretto alla cura dei figli", le due corti di merito il Tribunale di Terni e poi la Corte d'Appello di Perugia avevano rigettato le sue richieste anche perché non aveva dimostrato una partecipazione economica alla fabbricazione dell'immobile la cui realizzazione era quindi da ritenersi regolata dai principi generali in materia di accessione.

    Anche la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha rigettato le istanze della moglie motivando in questo modo la propria decisione: "la costruzione realizzata in costanza di matrimonio ed in regime di comunione legale sul terreno di proprietà personale esclusiva di uno dei coniugi è di proprietà personale ed esclusiva di quest'ultimo in virtù dei principi generali in materia di accessione. L'altro coniuge, che pretenda di ripetere le somme spese, è onerato della prova d'aver conferito il proprio apporto economico per la realizzazione della costruzione attingendo a risorse patrimoniali personali o comuni; di contro il coniuge proprietario non è tenuto a dimostrare d'aver impiegato denaro personale né personalissimo".

    Lecce, 01 ottobre 2010       

Giovanni D'Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori

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