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lunedì 29 novembre 2010

Cassazione rigorosa con evasori senza sconti: anche le attività illegali sono soggette a tassazione.

Cassazione rigorosa con gli evasori senza sconti: anche le attività illegali sono soggette a tassazione. 

    Anche la Suprema Corte si dimostra intransigente sull'evasione fiscale. Secondo la sentenza n. 42160 del 29 novembre 2010 della terza sezione penale risponde di evasione fiscale chi non dichiara i profitti derivanti dallo sfruttamento della prostituzione e rischiano una condanna per evasione fiscale i soggetti che non dichiarano i proventi derivanti dall'attività illecita di sfruttamento della prostituzione.

    I giudici di piazza Cavour, hanno respinto il ricorso di una donna condannata per non aver dichiarato, nel 2003, quasi 200mila euro di profitti derivanti dallo sfruttamento della prostituzione sottolineando che " I redditi così ottenuti sono comunque imponibili ". La tesi difensiva addotta dall''imputata si basava sul fatto che i redditi provenienti da attività illecita non potevano essere ritenuti assoggettabili a tassazione.

    I giudici nel respingere il ricorso, hanno invece ribadito che "secondo l'interpretazione autentica fornita dall'art.14 comma quarto della legge n.537 del 1993 con riguardo al testo unico sulle imposte dei redditi n.917 del 1986, tra le categorie dei redditi tassabili classificate nell'art.6, comma primo, devono intendersi ricompresi anche i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo. Risponde dunque del reato di cui all'art. 5 d.lgs. 74/2000 chi non dichiara i proventi derivanti dall'attività illecita di sfruttamento della prostituzione, al fine di evadere le imposte sui redditi.".

    Secondo Giovanni D'AGATA, componente del Dipartimento Tematico "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori e fondatore dello "Sportello dei Diritti" la rigorosa sentenza della cassazione penale ha infatti posto le basi per un giro di vite nei confronti dell'evasione fiscale senza sconti per nessuno.

    Lecce, 29 novembre 2010

                                                                                                                  Giovanni D'AGATA

                                                                                                              Dipartimento Tematico Nazionale

                                                                                                                         "Tutela del Consumatore" 
 

domenica 28 novembre 2010

Comune responsabile motociclo caduto in centro storico.

Il Comune è responsabile per la caduta da motociclo in centro storico.

I danni conseguenti agli incidenti determinati dalla negligenza dell'Amministrazione che ha la proprietà ovvero la disponibilità e il godimento del bene demaniale, in particolare di strada pubblica, allorché si verifichino nel custodire la res e/o nel fornire agli utenti adeguate segnalazioni devono essere risarciti dal Comune di competenza, in quanto sullo stesso gravano gli obblighi del custode.

Giovanni D'Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di IDV e fondatore dello "Sportello Dei Diritti" segnala con soddisfazione il principio espresso con una recentissima pronuncia (Cass. Civ. Sez. III, sentenza 15/10/2010, n. 21328), che ha ribadito e precisato alcuni principi già enunciati in una sentenza di solo alcuni mesi prima (Cass. Civ. Sez. III, sentenza 22 aprile 2010, n. 9456).

La giurisprudenza si è occupata in numerosissime occasioni delle richieste di risarcimento per danni avanzate da cittadini nei confronti dell'Ente; si è parlato, in proposito, di responsabilità della P.A. per l'esistenza di "trabocchetti" o "insidie nascoste".

In particolare nella circostanza la Suprema Corte ha accolto il ricorso di un uomo che aveva chiesto di essere risarcito dal Comune per i danni subiti a causa di un incidente occorsogli cadendo dalla sua vespa, in una strada antica, sdrucciolevole e caratterizzata da numerosi avvallamenti, situata nel centro storico di un piccolo Comune siciliano.

I giudici di piazza Cavour hanno quindi accolto il ricorso sostenendo che le motivazioni muovono dalla constatazione che, in base all'art. 2051 del codice civile, incombe sul Comune sia l'obbligo di custodire e fare manutenzione sulla strada che quello di ridurre, in ogni modo possibile, il pericolo di incidenti, attraverso la segnaletica che evidenzi le condizioni della strada e/o mediante l'impiego di agenti di polizia municipale, come prescritto da diversi articoli del codice della strada.

Secondo quanto stabilisce l'art. 2051 c.c., del resto, spetta al Comune l'onere di provare che il danno è stato provocato dal caso fortuito ovvero, in tutto o in parte, dalla condotta colposa dell'utente.

Lecce, 28 novembre 2010

Giovanni D'AGATA

Dipartimento Tematico Nazionale

"Tutela del Consumatore"

sabato 27 novembre 2010

Cassazione: lecite telefonate private brevi dal cellulare aziendale

Cassazione: è lecito fare telefonate private brevi dal cellulare aziendale 

    La Cassazione torna ancora una volta sull'argomento stabilendo i paletti in cui il dipendente può utilizzare il cellulare aziendale per chiamate private.

    La sentenza è la n. 41709/2010 è della Corte di Cassazione Sesta sezione penale che indica le modalità di utilizzo del telefono in ufficio.

    Prima regola: poche chiamate e, soprattutto, brevi!

    Gli ermellini hanno precisato con la sentenza che sono ammessi anche sms ad amici sempre che siano numericamente contenuti e diluiti nel tempo.

    Il caso è scaturito da un procedimento che vedeva imputato per peculato e abuso d'ufficio il dirigente di un Ufficio tecnico comunale.

    L'imputato aveva utilizzato il cellulare aziendale per contatti privati ed aveva inviato 276 sms ad amici e fatto 625 telefonate con un costo complessivo di 75 euro.

    Questa spesa però era "diluita" in due anni e per questo l'accusa di peculato era stata archiviata dal gup.

    Insomma le telefonate erano state poche e anche i costi molto modesti.

    La Suprema Corte ha inoltre sottolineato che non sono stati configurati quindi "atti appropriativi di valore economico sufficiente per la configurabilita' del delitto di peculato".

    Il tecnico comunale aveva anche navigato in intenet ma il Comune aveva un abbonamento a costo fisso per la navigazione sul web.

    La sentenza della Cassazione secondo Giovanni D'Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di IDV e fondatore dello "Sportello Dei Diritti" dimostra l'esistenza nell'ordinamento italiano dei rimedi e delle tutele alle vessazioni che molti lavoratori continuano a subire ed invita a non demordere chi si ritiene vittima d'ingiustizie ed illegittimità sul luogo di lavoro. 

    Lecce, 27 novembre 2010

                                                                                    Giovanni D'AGATA

                                                                             Dipartimento Tematico Nazionale

                                                                                         "Tutela del Consumatore" 

venerdì 26 novembre 2010

ZTL: multe nulle senza minima tolleranza temporale

Zone a Traffico Limitato e varchi elettronici. Annullabili le multe se non vi è un minimo di tolleranza temporale 

    Prendendo spunto ancora una volta dalle molteplici segnalazioni di cittadini multati, Giovanni D'Agata Componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori e fondatore dello "Sportello dei Diritti", continua a parlare del problema delle sanzioni elevati nelle Zone a Traffico Limitato per superamento del varco elettronico negli orari di limitazione del traffico.

    Un gran numero di automobilisti, infatti, sarebbe stato sanzionato a distanza di uno - due minuti  dall'orario previsto per l'apertura e per la chiusura alla circolazione degli autoveicoli tutti però convinti che, in realtà, il passaggio sarebbe stato effettuato immediatamente prima e solo per il tempo utile per effettuare delle incombenze rapide. Ciò a Lecce dove il sistema è stato installato da poco tempo così come in molti centri del Paese.

    Da un semplice esame dei verbali che ci sono stati posti all'attenzione si può, infatti, evincere come l'ora di accesso indicata negli stessi non presenterebbe la possibilità di uno scarto temporale minimo relativo alla possibilità di errore nella misurazione del tempo, così come avviene in materia di strumenti di rilevazione elettronica delle infrazioni, per esempio in tema di autovelox dove è prevista la tolleranza massima del 5 % rispetto alla velocità misurata per possibili errori del macchinario di rilevazione.

    Nei casi in questione, come detto, l'infrazione sarebbe stata rilevata solo pochi minuti dopo la limitazione al traffico rendendo così possibile un errore scusabile per la differente sincronizzazione degli orologi.

    In materia è già intervenuta qualche sentenza di merito tra tutte quella del 30 gennaio 2007, n. 9927 del Giudice di Pace Bologna, Sezione 4 Civile che ha sostanzialmente censurato il comportamento della p.a. che non abbia previsto un limite di tolleranza cronologico minimo per l'elevazione delle infrazioni presso i varchi elettronici.

    Secondo il principio ivi contenuto, stante l'impossibilità di sincronizzare l'orologio dello strumento di rilevazione con quello di tutti gli utenti della strada, la mancanza nel sistema di accertamento elettronico delle infrazioni, di un dispositivo che consenta al conducente di conoscere se questo sia o meno in funzione, rende incolpevole l'errore di coloro che, privi di permesso, entrano nella Ztl, pressappoco negli orari di attivazione o di disattivazione, in quanto l'erronea convinzione che il sistema elettronico non sia ancora o non sia più acceso, è pienamente giustificata dalla minima differenza che esiste tra l'orario del timer dell'apparecchiatura di rilevamento, poi riportato sul verbale d'accertamento e quello indicato dall'orologio su cui il cittadino fa affidamento. 

    Lecce, 26 novembre 2010

                                                                                    Giovanni D'AGATA

                                                                             Dipartimento Tematico Nazionale

                                                                                         "Tutela del Consumatore" 
 

martedì 23 novembre 2010

Nulle multe in ZTL se la segnaletica non è sufficientemente visibile.

dimensionali e di collocazione previste dal regolamento attuativo del Codice della Strada.

  Quanti automobilisti si sono visti notificare multe per violazione al codice della strada per aver transitato nella zona a traffico limitato di un qualsiasi comune senza essersi accorti della presenza del varco e della segnaletica ivi apposta?

Accade, infatti, che decine e decine di automobilisti, questa volta transitati nella Z.T.L. del centro storico di Lecce in orario serale, ci hanno giurato non solo di non essere a conoscenza dell'area di circolazione ridotta nelle ore notturne, ma soprattutto di non aver visto il segnale all'ingresso delle stesse.

E così  Giovanni D'Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori nonché fondatore dello "Sportello dei Diritti" si è recato di sera presso alcuni di tali varchi ed ha potuto verificare che in effetti gli stessi non sarebbero inequivocabilmente visibili e che la segnaletica non rispetterebbe tutte le prescrizioni previste agli articoli 79 e 80 del Regolamento d'attuazione del C.d.S. con ciò rendendo pressoché non colposo il comportamento degli automobilisti in transito dal punto di vista della personale responsabilità per la presunta violazione del Codice della Strada con ciò rendendo legittimo il ricorso per l'annullamento di tutte le multe così rilevate.

Anche perché  non si può attribuire la responsabilità di un'infrazione se non si dimostra la colpa dell'automobilista che in questo caso sarebbe esclusa per non aver visto la segnaletica non conforme alle prescrizioni di legge o regolamentari.

In materia di visibilità dei segnali e della necessità della preventiva individuabilità dei mezzi di rilevamento elettronico sono già intervenute delle sentenze che rifacendosi ai dettami del  legislatore prima e alla predominante Giurisprudenza di legittimità, hanno ripetutamente posto l'evidenza sulla necessità di dare informativa agli utenti della strada circa l'esistenza dei divieti e l'utilizzo degli strumenti di rilevamento elettronico, informativa di carattere preventivo che consista in una divulgazione con  i requisiti della congruità, dell'idoneità e della correttezza.

Secondo il legislatore e per la giurisprudenza maggioritaria, la segnaletica deve essere sempre idonea per dimensionamento, visibilità, leggibilità  e posizionamento e che la violazione di uno solo di questi parametri può provocare l'illegittimità dell'accertamento secondo prudente apprezzamento.

I cartelli verticali dei segnali posti all'ingresso dei varchi della ZTL sarebbero sottodimensionati, in particolare di dimensioni "55x55 " cm invece che "75x125" e "75x75" cm cioè "non facilmente visibile in modo particolare nelle strade poco illuminate quale quelle in esame antistanti il centro storico".

E non solo l'art. 79 del Reg. d'attuazione del C.d.S. prevede espressamente che "Sullo stesso sostegno non devono essere posti segnali con caratteristiche di illuminazione o di rifrangenza differenti fra loro" mentre è sufficiente visionare la fotografia allegata scattata in ora notturna che la segnaletica oltrechè non essere sufficientemente visibile è anche diversamente rifrangente.

    Lecce, 23 novembre 2010

                                                                                    Giovanni D'AGATA

                                                                             Dipartimento Tematico Nazionale

                                                                                         "Tutela del Consumatore"

lunedì 22 novembre 2010

Punibile senza sconti chi picchia il partner davanti ai figli

Punibile senza sconti chi picchia il partner davanti ai figli

Anche assistere all’aggressione configura il reato di maltrattamenti non solo nei confronti della vittima, ma anche verso i figli minori

Lo ha stabilito la Quinta Sezione penale della Cassazione nella sentenza 41142 del 22 novembre 2010. che di fatto ha respinto il ricorso di un uomo condannato per maltrattamenti ai danni della moglie e dei figli. L’imputato aveva proposto appello avverso la condanna nella parte relativa ai maltrattamenti sui figli poichè, i piccoli non erano stati direttamente vittime ma si sarebbero limitati ad assistere alle violenza dell’uomo. Gli ermellini rigettando la tesi dell’imputato, hanno ricordato che “ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 572 del codice penale “ lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime non deve necessariamente collegarsi a specifici comportamenti vessatori posti in essere nei confronti di un determinato soggetto passivo, ma può derivare anche da un clima generalmente instaurato all'interno di una comunità in conseguenza di atti di sopraffazione indistintamente e variamente commessi a carico delle persone sottoposte al potere dei soggetti attivi, i quali ne siano tutti consapevoli, a prescindere dall'entità numerica degli atti vessatori e dalla loro riferibilità ad uno qualsiasi dei soggetti passivi.”

Per Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” la decisione in esame è importante anche perchè l’ambiente domestico è un luogo privilegiato di dinamiche di violenza nei confronti delle donne e dei minori. Da ora in poi il partner violento e persecutorio non sarà più libero di comportarsi come gli pare verso la famiglia e non utilizzerà i minori quale elemento di ulteriore controllo sulla vita dell’altro partner.

Lecce, 22 novembre 2010

Giovanni D’AGATA

Dipartimento Tematico Nazionale

“Tutela del Consumatore”

sabato 20 novembre 2010

Cassazione: lecito spiare i dipendenti

Cassazione: lecito spiare i dipendenti

E' lecito spiare i dipendenti. Lo ha stabilito la Cassazione Sezione lavoro confermando la legittimità del
licenziamento per giusta causa, inflitto al direttore di una catena di supermercati Standa di Messina, sorpreso
con controlli occulti a prelevare merce dagli scaffali con gli scontrini riciclati. Per la Suprema Corte, "sono
legittimi i controlli posti in essere dai dipendenti di agenzie investigative che operano" spiando "come normali
clienti e non esercitano alcun potere di vigilanza e controllo". Inoltre fanno sottolineato che "le norme poste
dagli art. 2 e 3 della legge 300 del 1970 a tutela della libertà e dignità del lavoratore, delimitando la sfera
di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei suoi interessi, con specifiche attribuzioni
nell'ambito dell'azienda, non escludono il potere dell'imprenditore di controllare direttamente o mediante la
propria organizzazione gerarchica l'adempimento delle prestazioni lavorative e quindi di accertare mancanze
specifiche dei dipendenti, ciò indipendentemente dalle modalità del controllo che può legittimamente avvenire
anche occultamente senza che vi ostino né il principio di correttezza e buona fede nell'esecuzione dei rapporti, né
il divieto di cui all'art. 4 della legge del 1970 riferito esclusivamente all'uso di apparecchiature per il controllo a
distanza".
Oltre modo la Cassazione si allinea al giudizio di merito che aveva fatto notare come "la posizione di prestigio
del dipendente (direttore del supermercato)) all'interno della struttura commerciale, avrebbe dovuto costituire
esempio di correttezza e professionalità per i dipendenti a lui gerarchicamente subordinati".
Quanto accaduto, secondo Giovanni D'Agata, Componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela
del Consumatore" di Italia dei Valori e fondatore dello "Sportello dei Diritti", pur non essendo collegato ad
un'espressa previsione di legge, indica con ogni probabilità che quell'impresa, come tante altre, non ha esposto
con chiarezza un proprio regolamento e non ha dunque chiarito cosa i dipendenti possono attendersi e su cosa
possono contare sul posto di lavoro. Si può ricorrere alla legge ma talvolta basta ricorrere al buon senso. E
questo non vale solo per il dipendente licenziato dopo essere stato spiato... e comunque "la vigilanza sul lavoro,
ancorché necessaria nell'organizzazione produttiva" va "mantenuta in una dimensione 'umana' e cioé non
esasperata dall'uso di tecnologie o di altro" che violano la privacy del dipendente stesso".
LE DECISIONI E I PARERI DEL GARANTE
Sì all'uso delle impronte digitali dei lavoratori ma con precise garanzie
Internet: proporzionalità nei controlli effettuati dal datore di lavoro
Illecito spiare il contenuto della navigazione in internet del dipendente
Esami di tossicodipendenza sul posto di lavoro
No all'uso delle impronte digitali per controllare le presenze dei lavoratori

Lecce, 20 novembre 2010

lunedì 15 novembre 2010

Mobbing: quando la Giustizia potrebbe alleviare il dolore e le sofferenze del lavoratore mobbizzato.

Mobbing: quando la Giustizia potrebbe alleviare il dolore e le sofferenze del lavoratore mobbizzato.

Il caso emblematico dell'ing. Elisabetta Ferrante  

    Dopo l'intensa vicenda personale di mobbing di Giovanni D'Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di IDV e fondatore dello "Sportello Dei Diritti", avevamo sentito e manifestato l'obbligo morale e civile della necessaria difesa dei più deboli, convinti che la Giustizia, quella terrena, un'utopia ormai per tanti, se ci si crede veramente, se si è testardi, prima o poi arriva se si continua a combattere, sino ad esperire ogni livello che il Nostro ordinamento nazionale e sovranazionale ci consente.

    Giustizia che dopo un lungo corso durato circa dieci anni pareva arrivata a destinazione anche per l'ing. Elisabetta Ferrante, dipendente di una multinazionale che con una storica sentenza della Corte di Cassazione si era vista riconoscere le proprie ragioni dopo una tormentatissima, per non dire tragica, storia personale di nudo e crudo "mobbing" e di altrettante drammatiche battaglie nelle aule giudiziarie del nordovest del Paese.

    Quasi mai, avevamo parlato, nonostante le decine, centinaia di denunce di singole tristi storie lavorative di vessazione e di violenza psicofisica che ci erano pervenute nel corso degli anni perché avevamo preferito agire nel silenzio dei tribunali che impone il rispetto del concetto stesso di Giustizia, ma la vicenda dell'ing. Ferrante non può non definirsi emblematica se non la si legge nell'ottica dell'ormai storica sentenza della Suprema Corte n. 22858 del 09.09.2008 che è stata persino oggetto di studio nella relazione tematica dell'Ufficio del Massimario e del Ruolo della stessa corte e che ha tracciato puntualmente i requisiti fattuali e di diritto affinché una condotta datoriale o del superiore gerarchico possa essere individuata come "mobbing" e quindi riconoscendone la sussistenza nei comportamenti subiti dalla lavoratrice ricorrente.

    Una sentenza che sostanzialmente ha confermato, smentendo persino altre decisioni, che un fenomeno complesso che tanti lavoratori subivano, a volte in silenzio, a volte provando a rivolgersi alla Giustizia senza esito, che veniva chiamato con il termine anglosassone "mobbing" esisteva e poteva essere meritevole di tutela da parte delle corti italiane.

    Ora, dopo che i giudici di piazza Cavour hanno cassato la sentenza della Corte d'Appello di Torino che aveva rigettato le (ritenute poi) legittime istanze della funzionaria rinviando la causa alla contigua Corte d'Appello di Genova per esaminare l'intera vicenda alla luce dei principi stabiliti nella famosa decisione, l'ing. Ferrante è all'ultimo passo.

    Ora, anzi dopodomani 17 novembre, manca poco ed abbiamo l'obbligo di continuare a credere nella Giustizia che potrà, anzi deve restituire congruo ristoro alle sofferenze e al dolore patito dalla lavoratrice e dai suoi cari.

    Non possiamo, quindi, che auspicare una decisione esemplare anche in questo caso, affinché costituisca precedente persuasivo e da monito per tutti i datori di lavoro perché possano pensarci non una, ma cento volte prima di umiliare e vessare il proprio dipendente.

    Lecce, 15 novembre 2010

                                                                                    Giovanni D'AGATA

                                                           Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore"

venerdì 12 novembre 2010

Genitori alunno disabile privato del sostegno hanno diritto al danno esistenziale

I genitori dell'alunno disabile privato del sostegno hanno diritto al danno esistenziale.

La scuola non può ridurre le ore per carenza di organico. 

Giovanni D'Agata, Componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori e fondatore dello "Sportello dei Diritti" interviene in  materia del diritto all'educazione ed all'istruzione per i disabili  per segnalare la recentissima sentenza n. 2580 dell'11 novembre 2010 del Tar della Sardegna.

L'importante decisione fa seguito alla  sentenza n. 80/2010 della Corte costituzionale che aveva risolto il problema creato agli alunni con disabilità dall'art 2 commi 413 e 414 della Legge finanziaria  n. 244/08 fissando un tetto massimo al numero di docenti da nominare annualmente per il sostegno vietando contestualmente la possibilità di assegnare ore in aggiunta a quelle fissate in organico di diritto.

Con il principi stabilito dalla sentenza in questione, i giudici amministrativi hanno deciso che i genitori dell'allievo affetto da un grave handicap devono essere risarciti dei danni esistenziali se la scuola non assegna al minore le necessarie ore di sostegno.

Nel caso di specie il T.A.R. ha accolto il ricorso di due genitori contro il provvedimento con cui una scuola materna riduceva, fino a eliminarle del tutto, le ore di sostegno assegnate al figlio.

La coppia impugnava l'atto e chiedeva il risarcimento del danno. Con una statuizione antitetica rispetto ad alcune recenti pronunce di altre corti amministrative (tra queste Tar Campania 17532 del 24 settembre 2010), i giudici sardi hanno accolto entrambe le richieste e annullato il provvedimento, giudicato illegittimo in quanto "non può costituire impedimento alla assegnazione, in favore dell'allievo disabile, delle ore di sostegno necessarie a realizzare il proprio diritto, il vincolo di un'apposita dotazione organica di docenti specializzati di sostegno", anche perché la scuola può ricorrere "alla assunzione con contratto a tempo indeterminato di insegnanti di sostegno in deroga al rapporto docenti – alunni in presenza di handicap particolarmente gravi". Non solo. I genitori hanno "diritto al risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 cc, qualificabile nel caso come danno esistenziale." La corte ha chiarito che "il danno è individuabile negli effetti che la seppure temporanea, fino all'intervento di questo giudice, diminuzione delle ore di sostegno alle quali il minore aveva diritto, ha interrotto la piena continuità di sostegno al recupero ed allo sviluppo del disabile in situazione di gravità, integrando un arresto alla promozione dei suoi bisogni di cura, di istruzione e di partecipazione a fasi di vita "normale".

Il T.A.R. ha anche quantificato il danno nella misura di duemila euro a carico della scuola e nei confronti dei genitori del piccolo a titolo di risarcimento.

Lecce, 12 novembre 2010  

                                                                                        Giovanni D'AGATA

                                                                             Dipartimento Tematico Nazionale

                                                                                         "Tutela del Consumatore" 

giovedì 11 novembre 2010

Bagni alle poste e negli uffici aperti al pubblico per legge.

Bagni alle poste e negli uffici aperti al pubblico per legge.

 

Code interminabili, file estenuanti per gli utenti. Ordinaria amministrazione nella pubblica amministrazione, alle poste ed in tanti uffici, anche privati, aperti al pubblico, ma che succede se un qualsiasi cittadino o addirittura anziano ed incontinente deve andare al bagno. Non succede nulla se non che se la deve fare letteralmente "addosso" se non vuole perdere la preziosissima posizione faticosamente guadagnata anche se ha il ticket con il numero di prenotazione in mano.

Anche stavolta sono semplici cittadini a portare l'attenzione di Giovanni D'Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di IDV e fondatore dello "Sportello Dei Diritti", su problematiche quotidiane dell'utenza che sarebbero di semplice soluzione solo se il legislatore avesse guardato con più scrupolo agli ostacoli quotidiani che il cittadino è costretto ad affrontare.

Ed ecco che nasce da qui una proposta che potrebbe diventare legge se solo vi fosse volontà politica generale e non solo di Italia dei Valori per cercare di alleviare un problema che se potrebbe far scappare qualche sorriso ai più, certamente non fa ridere chi quotidianamente per le proprie incombenze o una volta al mese per ritirare la pensione è costretto a non poter usufruire di un servizio che è stato generalmente previsto per legge, per esempio, per tutte le attività di ristorazione.

Ed allora, perché non obbligare tutti gli uffici aperti al pubblico, a cominciare dalle poste, di dotarsi della toilette?

Lecce, 11 novembre 2010

 

                                                                                    Giovanni D'AGATA

                                                                          Dipartimento Tematico Nazionale

                                                                                         "Tutela del Consumatore"

sabato 6 novembre 2010

Cassazione: evasione fiscale IVA punibile reclusione


    Anche la cassazione penale rigorosa con gli evasori: punibile con la reclusione il contribuente che non versa l'Iva se il comportamento si prolunga oltre il 27 dicembre dell'anno successivo a quello di riferimento 

    Anche la Suprema Corte si dimostra intransigente sull'evasione fiscale. Secondo la sentenza n. 38619 del 3 novembre 2010 rischia la reclusione da sei mesi a due anni chi non versa l'iva dichiarata, se il mancato pagamento si estende oltre il 27 dicembre dell'anno successivo a quello di riferimento.

    Per Giovanni D'Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di IDV e fondatore dello "Sportello Dei Diritti" la decisione in esame è importante 6anche per il calcolo temporale del comportamento omissivo anche per la verifica di applicazione del beneficio dell'indulto.

     Il Tribunale di Ancona, infatti, aveva applicato questo beneficio nei confronti di un uomo che non aveva versato l'iva dichiarata nell'anno 2005. Mentre il Procuratore generale presso la Corte d'appello del capoluogo marchigiano aveva presentato ricorso affermando l'inapplicabilità dell'indulto, in quanto secondo la procura il reato si era consumato nel vigore della nuova normativa, la quale prevede, per coloro i quali omettono il pagamento dell'iva, un trattamento sanzionatorio equivalente a quello previsto per il sostituto che non versa le ritenute d'acconto.

    I giudici di piazza Cavour hanno quindi accolto il ricorso sostenendo che "per la consumazione del reato non è sufficiente un qualsiasi ritardo, ma occorre che l'omissione del versamento dell'imposta dovuta si protragga fino al 27 dicembre dell'anno successivo al periodo d'imposta di riferimento".

    Lecce, 5 novembre 2010 

Giovanni D'Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori.

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