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giovedì 28 novembre 2013

Giustizia UE. Tre viaggiatrici italiane hanno ottenuto l'esecuzione, in Irlanda, di una sentenza italiana: per corrispondenza e senza avvocato

Firenze, 28 novembre 2013. Grazie alla legislazione dell'Unione Europea a tutela dei consumatori, tre viaggiatrici italiane hanno ottenuto l'esecuzione, in Irlanda, di una sentenza di un giudice di pace italiano che condannava Ryanair a indennizzarle. Il tutto per corrispondenza e senza bisogno di avvocato.
Le viaggiatrici si erano rivolte all'Aduc dopo una disavventura causata dal mancato rispetto delle norme (anche queste europee) a tutela dei passeggeri.(1) RyanAir veniva condannata per la prima volta  da un giudice italiano con sentenza immediatamente eseguibile in Irlanda. Questo era stato possibile grazie al nuovo procedimento europeo per le cause di modesta entità (reg. CE 861/2007), attraverso il quale il cittadino può ottenere una sentenza valida in un altro Stato dell'UE senza dover seguire la faticosa trafila burocratica di traduzione e recepimento.(2) Non solo: tale procedura non prevede la necessità di essere assistiti da un legale, e per attivarla basta la semplice compilazione di un modulo invece del complicato atto di citazione previsto dalla procedura italiana.(3)
La sentenza del Giudice di pace di Firenze, dott. Simone Bozzi, giunta dopo soli tre mesi dall'inizio della causa, è stata poi inviata per raccomandata a/r allo Sceriffo della contea di Dublino, che ha provveduto ad eseguirla. Risultato: è arrivato l'assegno.
Purtroppo lo stesso risultato non potrebbe ottenerlo un cittadino irlandese contro una compagnia aerea italiana, visto il bizantinismo delle nostre procedure in materia di esecuzione forzata: atto di precetto, notifica tramite ufficiali giudiziari, procedimento davanti al giudice dell'esecuzione, e cosi' via. E infatti, per ottenere lo stesso risultato contro una compagnia italiana, anche un cittadino italiano sarebbe stato costretto a rivolgersi ad un legale e affrontare i lunghi tempi della nostra giustizia.
In breve, per l'utente italiano è più facile, veloce e meno costoso ottenere giustizia in Irlanda che nel proprio Paese...

1. http://www.aduc.it/comunicato/ryanair+prima+volta+condannata+giudice+italiano_19906.php
2. http://sosonline.aduc.it/scheda/controversie+stranieri+procedimento+europeo_19220.php
3. https://e-justice.europa.eu/content_small_claims_forms-177-it.do

Truffe assicurative? Ci difendono IVASS e Agcm!

Le truffe assicurative rappresentano purtroppo una delle piaghe del nostro Paese, nonostante l’impegno sempre più deciso di Governo, IVASS e Agcm (autorità garante della concorrenza sul mercato). La disonestà di alcuni è pagata da tutti: l’aumento delle tariffe non è che l’effetto più evidente di questo status di cose.
Adesso, per colpa alla crisi, le persone si fanno più attente ad ogni spesa e Internet diventa un’opportunità di risparmiare…spesso invano! Infatti  alcune delle assicurazioni on line sono in realtà veicolo di frodi.
Però la Rete può anche essere un mezzo di difesa. I due suddetti organi hanno stilato un Protocollo d’Intesa che ha lo scopo di proteggere i neo patentati (e non solo), pubblicando sul sito  dell’IVASS i nomi delle assicurazioni che tentano di truffare la gente…di quelle compagnie cioè che propongono appunto prezzi stracciati, offrendo ovviamente anche garanzie “stracciate”.
Sempre grazie al web,  le informazioni derivanti dalle ricerche saranno  aggiornate e interconnesse, offrendo il massimo aiuto agli utenti.
La Black List, che troverete di seguito, comprende non solo chi fa vere e proprie truffe assicurative, ma anche le assicurazioni straniere che non sono in regola con i parametri italiani
Non resta quindi che consultare l’elenco qui sotto, tratto dal sito ufficiale dell’IVASS, ma soprattutto non bisogna dimenticare che l’assicurazione non è solo necessaria, ma obbligatoria, e voler risparmiare a tutti i costi potrebbe dimostrarsi un pericoloso boomerang.
  • CE EUROPEAN GROUP LIMITED o ACE INSURING PROGRESS – ACE EUROEAN GROUP LIMITED
  • ADMIRAL INSURANCE COMPANY LIMITED
  • AIOI MOTOR AND GENERAL INSURANCE COMPANY OF EUROPE LIMITED
  • ALA ASSICURAZIONI
  • ALLIANZ HUNGÁRIA BIZTOSÍTÓ RÉSZVÉNYTÁRSASÁG
  • ARISA ASSURANCES S.A.
  • ATLAS INSURANCE PCC LIMITED
  • BERKSHIRE HATHAWAY INTERNATIONAL INSURANCE LIMITED
  • BTA Insurance Company
  • BTA INSURANCE JOINT STOCK COMPANY
  • CHARTIS EUROPE S.A
  • ELECTRIC INSURANCE
  • ENTERPRISE INSURANCE COMPANY PLCu
  • ERGO ASSICURAZIONI
  • GENERALI BELGIUM S.A.
  • GOLD BROKER – BERGAMO
  • ALPHA INSURANCE A/S
  • JEREMY BURGESS ASSICURAZIONI
  • LA PARISIENNE
  • MACIFILIA S.A.
  • MAPFRE ASISTENCIA, COMPAÑIA INTERNATIONAL DE SEGUROS Y REASEGUROS, S.A.
  • MERCATOR VERZEKERINGEN M.G.A.R.D.
  • PROBUS INSURANCE COMPANY EUROPE LTD RC AUTO RSA ASSICURAZIONI S.P.A.
  • RSA INSURANCE
  • R.S.A. GROUP ASSICURAZIONI
  • STOREBRAND SKADEFORSIKRING AS
  • TORUS ASSICURAZIONI S.P.A.

martedì 26 novembre 2013

Stalking. Sì al maxirisarcimento in sede civile per danno morale alla vittima

È sufficiente l'astratta configurabilità del reato. Il turbamento psichico deve ritenersi sussistente in via presuntiva per il grave fatto illecito patito dimostrato con i testimoni e liquidabile equitativamente

 

Proprio ieri 25 novembre si è celebrata la giornata internazionale per l'eliminazione della violenza sulle donne e per ricordare che tale data non debba essere solo un giorno del calendario ma anche un monito per tutti coloro che attentano ai diritti delle donne Giovanni D'Agata, presidente dello "Sportello dei Diritti" segnala un'importante decisione del tribunale civile di Roma che è stata pubblicata proprio nei giorni scorsi.

La rilevanza della sentenza 23351/13, pubblicata lo scorso 21 novembre dal giudice Corrado Cartoni della dodicesima sezione del tribunale capitolino è data dal fatto che  in sede civile è stato riconosciuto un maxirisarcimento per il danno morale subito da una donna perseguitata dall'ex compagno dopo l'interruzione del rapporto sentimentale.

Per il togato, è infatti sufficiente l'astratta configurabilità del reato di stalking per consentire la liquidazione equitativa del pregiudizio, laddove il turbamento psichico della vittima deve ritenersi sussistente in via presuntiva per il grave illecito patito.

Nel caso di specie la ragazza è stata risarcita con 10 mila euro oltre interessi e rivalutazione per i danni morali patiti a causa della condotta dell'ex fidanzato che non si era rassegnato alla fine del rapporto ed aveva assunto gli atteggiamenti tipici dello stalker: una lunga e continua serie di telefonate e sms, ora quasi supplicanti (con addirittura un'offerta di denaro), ma più spesso minacciosi e offensivi e comunque petulanti. Sino all'ultimo episodio in cui l'uomo perde la testa e si presenta senza citofonare alla porta della ex e tarda ad allontanarsi dal condominio anche quando gli viene detto che diversamente la donna avrebbe fatto intervenire la polizia.

A testimoniare gli episodi sono sia la coinquilina della donna che un'altra persona che riferisce di aver letto il contenuto "terroristico" degli sms. Ed il tribunale non ha potuto che ritenere decisive le testimonianze per accertare incidentalmente la sussistenza del reato di stalking per quanto rileva ai fini della responsabilità civile, laddove bastano solo due episodi a configurare il reato ex articolo 612 bis del Codice Penale.

Rilevata l'astratta configurabilità del reato, è stato riconosciuto "il danno morale inteso quale turbamento psichico transitorio e soggettivo conseguente al reato, da ritenersi sussistente in via presuntiva alla luce del grave fatto illecito subito, gravità rappresentata dalla violenza psichica di cui l'attrice è stata vittima, peraltro ad opera dell'ex compagno, con inevitabile maggiore sofferenza, trattandosi della fine di un rapporto sentimentale".

 


venerdì 22 novembre 2013

Il padre non può disconoscere il figlio nato dall'inseminazione eterologa dopo la fecondazione dell'ovulo

La revoca del consenso all'impianto dell'embrione è tardiva, né vale il fatto che gli embrioni fossero congelati e preesistenti

 

Una retromarcia sulle proprie responsabilità di genitore non è possibile né moralmente, ma neanche giuridicamente. Specie se il marito aveva deciso di comune accordo con la moglie aveva accettato di avviare la procedura all'estero per la procreazione assistita a mezzo d'inseminazione eterologa e dopo aver "fornito" il seme per la fecondazione dell'ovulo, mentre solo poco prima dell'impianto dell'embrione revoca il consenso all'operazione.

Non può chiedere, infatti, il disconoscimento di paternità una volta che l'ovulo è stato fecondato. Lo stabilisce una significativa sentenza, la numero 18435/13 del Tribunale di Roma che Giovanni D'Agata, presidente dello "Sportello dei Diritti" ritiene utile portare a conoscenza per le implicazioni giuridiche, ma anche morali per le responsabilità connesse alla legittima scelta di ricorrere alle pratiche di fecondazione assistita.

Nel caso di specie, il collegio della prima sezione civile ha deciso che il bambino potrà continuare a portare il nome del padre naturale con cui la signora era stata sposata per circa dieci anni.

Peraltro, è probabilmente l'avvicinarsi del giorno dell'impianto degli embrioni che comporta l'incrinarsi del rapporto coniugale. Risulta, infatti, che a novembre la coppia aveva stipulato il contratto con una clinica spagnola mentre circa un mese dopo il marito aveva deciso di fare diefront e proporre domanda di separazione giudiziale. Nonostante ciò la moglie si sottoponeva comunque al trapianto dell'embrione nell'utero.

Infatti, in base alla legge 40/2004 la revoca del consenso all'impianto da parte dell'uomo solo prima dell'impianto è intempestiva: in effetti – sottolineano i giudicanti - anche nella procreazione naturale il padre non potrebbe certo accampare la pretesa di non essere padre perché dopo il rapporto sessuale rompe ogni legame con la madre; né potrebbe costringerla ad abortire.

A nulla rileva il fatto che gli embrioni fossero congelati e preesistenti in ragione dell'applicabilità della norma che consente la revoca del consenso soltanto fino al momento della fecondazione dell'ovulo. Peraltro, la domanda di decadenza della potestà, in base al nuovo testo dell'articolo 38 delle disposizioni d'attuazione del Codice di procedura civile, deve essere proposta nel giudizio di separazione pendente.

 

giovedì 21 novembre 2013

Diritti Umani. Condannato a cinque anni in prigione un uomo per aver insultato Maometto su Twitter

Diritti Umani. Condannato a cinque anni in prigione un uomo per aver insultato Maometto su Twitter. Dilaga la censura anche in Kuwait

 

Le autorità del Kuwait hanno ribadito che avvieranno azioni legali contro tutti i blogger e gli utenti dei social network che violano « i valori sociali e tradizioni stabiliti». Mentre rileva Giovanni D'Agata, presidente dello "Sportello dei Diritti" che dilaga la censura nel Paese del Golfo stando quanto apparso su alcuni media internazionali.

Un giudice kuwaitiano ha condannato lunedì a cinque anni in prigione un uomo per aver insultato il Profeta Maometto tramite il suo account ufficiale del social network Twitter, come riportato dalla rivista "Il Kuwait Times".

La decisione della Corte non è definitiva ed è possibile ancora un ricorso per cassazione. Le  autorità kuwaitiane hanno sottolineato più volte che avrebbero avviato azioni legali contro tutti i blogger e gli utenti delle reti sociali per "proteggere i valori sociali e tradizioni stabilite".

In maggio, un altro blogger fu condannato a 20 mesi di prigione per aver criticato l'emiro, Saba Al-Ahmad Al-Jaber Al Saba, attraverso il suo profilo su Twitter, ma la frase è stata sospesa dietro pagamento di un'ammenda di 200 dinari kuwaitiani (circa 540 euro).

Per il Driss fu giudicato colpevole di "minare lo stato dell'emiro" per la pubblicazione di quattro 'tweets' critici contro l'emiro, ma è stato dichiarato innocente per la pubblicazione di altri 43 di contenuto simile. Nel mese di aprile, l'ex parlamentare nonchè il principale avversario per Barrak Musallam fu condannato a cinque anni di carcere per "aver abusato verbalmente" contro l'emiro durante un discorso tenuto lo scorso ottobre in mezzo a scontri tra il governo e l'opposizione di un decreto che ha modificato la legge elettorale del 2006 che ha ridotto il numero di candidati che gli elettori potrebbero scegliere passando da quattro a uno.

Manifestazioni a livello nazionale sono successe dopo le elezioni di dicembre, anche se i gruppi per i diritti umani non dimenticano che almeno 25 persone sono state imputate per presunte offese all'emiro, principalmente attraverso Internet. Le autorità hanno già emesso condanne nei confronti di alcune di queste persone, fino a cinque anni in prigione.

 


martedì 19 novembre 2013

La cittadina non comunitaria che fugge dal paese d'origine per evitare il matrimonio combinato gode della protezione sussidiaria in Italia

La cittadina non comunitaria che fugge dal paese d'origine per evitare il matrimonio combinato gode della protezione sussidiaria in Italia

Non riconosciuto lo status di rifugiato politico

 

Importante provvedimento della Cassazione che concede la protezione sussidiaria alla cittadina extraUE che è scappata via dal proprio Paese per sottrarsi al matrimonio impostole dalla famiglia con un uomo di più di 70 anni.

L'ordinanza n. 25873 della sesta sezione civile della Suprema Corte, pubblicata in data di ieri 18 novembre ha, infatti, accolto uno dei motivi di ricorso di una giovane nigeriana, che era fuggita dal paese d'origine a causa delle violenze subite dai familiari che le volevano imporre un matrimonio combinato con un uomo anziano.

Seppur dimostrato che a causa del rifiuto, la ragazza era stata rapita e portata a casa del pretendente che aveva tentato di abusarla, la commissione territoriale aveva negato la protezione internazionale.

Ragion per cui la donna si era rivolta al tribunale di Trieste chiedendo che le venisse riconosciuto lo status di rifugiato politico o, in alternativa, la protezione sussidiaria o quella umanitaria. Ma sia il tribunale che la corte d'appello avevano rigettato la sua domanda ma la Cassazione le ha reso giustizia con una decisione che per Giovanni D'Agata, presidente dello "Sportello dei Diritti" vale la pena diffondere per la notevole valenza persuasiva in termini di tutela dei diritti umani anche all'interno del Nostro Paese.

Sebbene, infatti, i giudici del Palazzaccio hanno ritenuto dover rigettare le doglianze del ricorso in merito al riconoscimento dello status di rifugiato, con lo stesso provvedimento hanno accolto la richiesta di protezione sussidiaria.

Quanto lamentato dalla ricorrente non configurano i motivi di «persecuzione in base ai quali tale forma di protezione viene contemplata ai sensi dell'articolo 8 del d.lgs. n. 251/2007, il quale prevede esclusivamente i motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un particolare gruppo sociale, opinione politica». 

I giudici di legittimità al contrario ritengono fondata la richiesta alternativa di protezione sussidiaria, bocciando i giudici dell'appello, che, pur ammettendo la veridicità del racconto della giovane, hanno escluso il diritto della stessa alla protezione sussidiaria non ritenendone sussistenti i presupposti.

Sottolinea la Suprema Corte che «E' certo tuttavia, in diritto, che la costrizione di una donna a un matrimonio forzato costituisce grave violazione della sua dignità, e dunque trattamento degradante ai sensi dell'articolo 14, del d.lgs. n. 251/2007, che configura a sua volta danno grave ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria. La minaccia di grave danno giustificante tale protezione, inoltre, non è necessario che provenga dallo Stato, ben potendo provenire anche da "soggetti non statuali" se le autorità statali o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio non possono o non vogliono fornire protezione adeguata ai sensi dell'articolo 6 del d.lgs. citato».

In questo caso, la corte d'appello ha ritenuto «illegittimamente di poter omettere tale verifica, o ha ritenuto di poter senz'altro escludere l'eventualità del difetto di protezione da parte delle autorità nigeriane sulla scorta dell'apodittica affermazione che la polizia, se richiesta, avrebbe certamente perseguito i responsabili». «Sarebbe stato invece suo dovere», continuano gli ermellini, «assumere anzitutto, anche d'ufficio, informazioni sulla situazione generale della Nigeria, con riferimento al tipo di problema posto dalla ricorrente, attraverso i canali indicati all'art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 251/2008 o mediante altre fonti che fossero in concreto disponibili, e solo all'esito di ciò formulare una pertinente valutazione».

 




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Redazione del CorrieredelWeb.it


Va dichiarata la separazione con addebito alla moglie affetta da "shopping compulsivo".

Il disturbo non può essere utilizzato al fine di escludere l'intollerabilità della convivenza

I furti di denaro ai familiari per comprare vestiti, borse e gioielli costituiscono violazione dei doveri matrimoniali

 

Non è un fenomeno raro quello dello "shopping compulsivo" che afflige donne ma non di rado anche uomini. Il problema che questa vera e propria patologia può essere considerata sì un disturbo della personalità, ma non ai fini di una vera e propria incapacità d'interere e volere no.

Almeno è questo il risultato di una causa matrimoniale arrivata sino alla Cassazione che ha confermato l'addebito della separazione nei confronti della moglie affetta dalla sindrome da "shopping compulsivo" facendole perdere il diritto al mantenimento. A riferire dell'interessante sentenza è Giovanni D'Agata, presidente dello "Sportello dei Diritti".

La Ctu ordinata dal giudice di merito aveva evidenziato che la donna pur essendo ben presente a sé stessa e  curata nell'aspetto risultava perfettamente consapevole della propria patologia, che l'aveva indotta sino a farle carpire somme di denaro a familiari (e anche a terzi), pur di comprare vestiti, borse e gioielli. In tale fattispecie, il giudice di primo grado aveva evidenziato che anche se il disturbo della personalità che è acclarato, tuttavia non esclude l'addebito della colpa alla donna in termini dell'intollerabilità della convivenza.

E la prima sezione civile della Cassazione con la sentenza 25843/13, pubblicata il 18 novembre, ha confermato la decisione della Corte di Appello che le aveva addebitato la colpa della separazione e revocato l'assegno di 2 mila euro al mese che le era stato riconosciuto dal giudice di primo grado.

È stata quindi, la consulenza tecnica d'ufficio un elemento fondamentale al fine della decisione, che aveva evidenziato l'istinto irrefrenabile della signora a comprare mobilio, capi di abbigliamento e accessori, oltre che monili, con una tensione crescente alleviata soltanto dall'acquisto di beni mobili. Anche perché è pacificamente accertata la circostanza che la stessa rubasse ai familiari e a terzi pur di soddisfare questa bramosia.

Peraltro, la donna risulta essere in possesso di tutte le facoltà mentali e non ha nessun problema a relazionarsi con il prossimo e a orientarsi nel tempo e nello spazio. Ed anzi si era presentata al colloquio innanzi al CTU lucida ed orientata nei parametri spazio temporali, curata nell'aspetto e nell'abbigliamento, adeguata nel comportamento. 

Essendo stata quindi, affermata la piena imputabilità della donna, gli ermellini hanno ritenuto che i comportamenti tenuti dalla stessa si configurano senz'altro come violazione dei doveri matrimoniali secondo quanto stabilito dall'articolo 143 del codice civile.

 


Come risolvere una lite extragiudizialmente

PROCESSI CIVILI E COMMERCIALI? CONVIENE RISOLVERLI CON LA MEDIAZIONE e
L'ARBITRATO

Contro la lentezza e gli alti costi di giustizia civile arriva
l'organismo internazionale di mediazione e arbitrato
dell'A.N.P.A.R..(associazione dal 1995 -senza scopo di lucro).

Mentre alcuni professionisti contrari da sempre alla mediazione,
continuano a mettere in atto tutti i mezzi possibili per farla
fallire, filosofeggiando a modo loro sulla nuova legge 98/2013 che ha
modificato in parte il D. Lsg 28/2010, l'A.N.P.A.R. da tempo forte
della sempre più evidente progressiva privatizzazione della giustizia
offre valide soluzioni a questa crisi , ai suoi tempi, ai suoi costi
(in continuo aumento, da tempo ha formato e continua a formare oltre
che mediatori anche altri professionisti che sono in grado di proporre
metodi alternativi alla risoluzione dei conflitti. Sono due le
alternative che le imprese pubbliche e private, i consumatori ma anche
semplici cittadini meno abbienti, hanno per non andare davanti al
giudice civile per la risoluzione del contenzioso: la mediazione
obbligatoria (art. 5 comma 1/bis del D. Lsg 28/2010), e/o facoltativa
e in subordine l'arbitrato.

I fatti: centinaia di arbitrati dal 1995 più di 5.000 mediazione dal
2011 ad oggi.

La legge dice che chi intende esercitare in giudizio un'azione
relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali,
divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione,
comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da
responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con mezzo della
stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi,
bancari e finanziari è tenuto preliminarmente a esperire il
procedimento di mediazione. La parte deve partecipare personalmente
alla procedura (fatti salvo i giustificati motivi di impedimento) e
può farsi assistere da un avvocato. Le parti possono stabilire nello
stesso procedimento di mediazione che in caso di fallimento della
stessa intendono ricorrere all'arbitrato amministrato dalla camera
arbitrale dell'A.N.P.A.R. In tal modo si è certi che la risoluzione
della controversia non potrà continuare davanti ad un giudice
ordinario. Perché sia all'accordo di mediazione che al lodo
arbitrale viene conferito carattere di esecutività.
L'organizzazione A.N.P.A.R. si sta diffondendo sull'intero
territorio nazionale e fuori confini.

Tantissime le "sedi operative" già aperte in Italia che vanno
dall'estremo nord all'estremo sud a disposizione di cittadini,
imprese e professionisti che si affiancano alle delegazioni ed uffici
di prossimità deputati alla divulgazione dei sistemi extragiudiziali.

L'A.N.P.A.R. è in grado di offrire ai cittadini, società ed enti
un servizio di mediazione e/o arbitrato a pagamento e secondo tariffe
predeterminate, assicurando tempi di risoluzione delle controversie
contenute: per la mediazione in massimo 3 mesi e per l'arbitrato in
massimo entro 180 giorni.

La formula è quella di tanti forum televisivi: anziché rivolgersi ad
un tribunale ordinario, affrontando rischi ed incognite inerenti la
durata del procedimento, i suoi costi e quant'altro in discussione,
le parti in lite si rivolgono all'A.N.P.A.R chiedendo che la
soluzione venga affidata ad un soggetto neutrale, del quale
s'impegnano ed obbligano ad accettare e rispettare le decisioni. A
conclusione del procedimento l'arbitro o gli arbitri emettono un
lodo cui viene conferito carattere di esecutività, cui le parti si
adeguano.

I vantaggi vengono indicati nella velocità del giudizio,
nell'integrale rispetto della privacy, nel risparmio sui costi
l'abbattimento stimato rispetto ad un giudizio si avvicina al 90%
per la mediazione ed al 50% per l'arbitrato rispetto al costo di un
giudizio ordinario.

Un esempio per tutti: per una causa che rientra nello scaglio da
25.000 a 50.000 euro il costo è di euro 400 per parte per la
mediazione mentre il costo complessivo per l'arbitrato è di euro
750 – 1250 per un arbitro unico e di 1.900 - 3.000 euro per un
collegio arbitrale da suddividersi equamente s non stabilito
diversamente dalle parti.

Sono previste per grossi enti (banche, assicurazioni, associazioni
ecc) speciali convenzioni, per l'ulteriore abbassamento dei costi,
del quale ne usufruiscono anche la/e controparte/i. Inoltre se si è
in possesso di un titolo di studio almeno triennale o iscritto ad un
albo professionale si può accedere alla formazione per diventar
mediatore e/o arbitro frequentando uno i corsi dell'organismo
formativo dell'A.N.P.A.R. certificato ISO-UNI 9001 -2008.

Tutta la modulistica per avviare una mediazione o un arbitrato è reperibile
sul sito http://www.anpar.it
 ovvero per ulteriori informazione puoi telefonare alla segreteria
nazionale al n. 089.274799 o scrivere all'indirizzo e-mail
info@anpar.it <mailto:info@anpar.it>
 riceverai tutte le informazioni necessarie per attivare uno qualunque
dei sistemi di risoluzione di controversia extragiudiziale in poco
tempo e a basso costo e senza IVA.


mercoledì 13 novembre 2013

Denuncia - esposto sulle banche dati IVASS. Arriva la risposta dell'Autority. Cambia il modello CID

Denuncia – esposto sulle banche dati IVASS. Arriva la risposta dell'Autority. Il Garante per la protezione dei dati personali vigila sui diritti degli interessati e sul trattamento posto in essere dalle compagnia di assicurazione. Prevista modifica dei c.d. "modelli di constatazione amichevole" (CAI).

 

Giovanni D'Agata, presidente dello "Sportello dei Diritti", esprime grande soddisfazione per la risposta ricevuta dall'Autorità Garante per la protezione dei dati personali in relazione alla denuncia sporta qualche mese addietro circa alcune prassi non molto trasparenti nei confronti dei cittadini e degli assicurati in genere, che attengono in particolare alla costituzione della c.d. "banca dati dei testimoni".

Erano, infatti, stati segnalati anche grazie all'ausilio degli esperti che collaborano con l'associazione, in  particolare dell'avvocato Graziano Garrisi, esperto per l'appunto in privacy e diritto delle nuove tecnologie, alcuni profili di violazione in materia di Privacy relativamente al mancato conferimento dell'informativa ex art. 13 d.lgs. 196/2003, delle possibili difficoltà per gli interessati nell'esercitare i diritti di cui all'art. 7 d.lgs. 196/2003 e alla mancata previsione di tempi certi (e limitati) di conservazione dei dati dei "testimoni" inseriti in questa grande banca dati.

L'Autorità, pertanto, consapevole dei rischi connessi alla proliferazione - nel campo assicurativo - di complessi di dati personali, ha sottolineato di aver avuto già modo di manifestare le proprie perplessità innanzi all'IVASS, mediante un parere formale (che sarà oggetto di prossima pubblicazione sul sito web istituzionale www.garanteprivacy.it).

A tale Istituto sono state rivolte alcune raccomandazioni sulla procedure di organizzazione e funzionamento, nonché sulle modalità e condizioni di accesso a tale banca dati. Inoltre, è stato sottolineato come sia assolutamente necessario dare adeguata evidenza dell'esistenze di tali "banche dati" (e dei connessi trattamenti) già in sede di raccolta del dato (ovvero della dichiarazione testimoniale) e, pertanto, molto probabilmente saranno modificati i c.d. "modelli di constatazione amichevole" (CAI), mediante l'inserimento di un'informativa breve da cui possano trarne beneficio oltre agli interessati, anche i soggetti nella cui disponibilità pervengono, a vario titoli, i dati personali.

Le compagnie assicurative, inoltre, potranno (o, a nostro avviso, dovranno) pubblicare un'informativa completa, che riporti anche tali trattamenti nei confronti dei testimoni, sul proprio sito web aziendale.

Di seguito la risposta integrale del dirigente del "Dipartimento Realtà Economiche e Produttive" del dall'Autorità Garante per la protezione dei dati personali, al comunicato - esposto presentato dallo "Sportello dei Diritti" lo scorso 22 settembre.

 


martedì 12 novembre 2013

Nullo il verbale al disabile per l'autovettura posta in divieto davanti alla banca perché mancano spazi ad hoc

Valida l'esimente dello stato di necessità se c'è l'esposizione del permesso per invalidi sul parabrezza. Bacchettati gli organi di controllo dei vigili che dovrebbero sapere che il legislatore tutela chi è gravato da un disagio fisico

 

Un sonoro monito ai Comandi di Polizia Municipale, ma anche ai Prefetti troppo spesso semplici notai dell'operato delle polizie locali, arriva dalla sentenza 2563/13 emessa dal giudice dottor Salvatore Fontana, della sezione civile del giudice di pace di Reggio Calabria, ma anche l'applicazione di un principio di diritto che dovrebbe essere sempre applicato dalle forze di polizia stradale.

Secondo il magistrato onorario, infatti, va annullata la multa per divieto di sosta elevata al disabile perché l'auto è posteggiata davanti ad un istituto di credito per il tempo necessario ad un'operazione che richiedeva la sua presenza, e con il permesso invalidi esposto sul parabrezza.

Se non ci sono spazi ad hoc riservati alla sosta per i veicoli a servizio dei diversamente abili,  il pass dovrebbe in indurre i vigili a soprassedere anche in ragione del fatto che la presenza del permesso è sinonimo di stato di necessità ai sensi dell'articolo 4 della legge 689/81, specie se poi tali circostanze vengono immediatamente riferite ai vigili ancora in loco.

Arriva, quindi, anche la condanna alle spese per il Comune di Reggio Calabria su ricorso presentato dal disabile sanzionato nelle circostanza suindicate.

Nel caso in questione, in particolare, l'uomo si era fatto accompagnare presso la banca dalla  sorella  a bordo della propria autovettura e poiché invalido totale non è in grado di compiere gli atti che servono per la sua vita quotidiana.

Entrato solo per il tempo necessario all'operazione per la quale serviva la sua presenza, all'uscita aveva trovato sul parabrezza il ricordino dei vigili.

Ciò nonostante il permesso invalidi consenta la sosta a patto che il veicolo non costituisca intralcio per la circolazione. Ma v'è di  più. Nella circostanza, l'interessato sorretto dalla sorella aveva fatto presente alla polizia municipale la sua condizione, che gli impedisce evidentemente di camminare. Ma neanche ciò fa cambiare idea agli agenti.

Ed allora il giudice di Pace, verificata la bontà delle asserzioni del malcapitato anche a mezzo di prova testimoniale, lancia un vero e proprio monito che a parere di Giovanni D'Agata, presidente dello "Sportello dei Diritti", è valido in tutte le circostanze analoghe.

Ricorda il giudice, infatti, che il legislatore ha posto importanti «principi a tutela delle persone gravate da disagio fisico personale», che devono essere evidentemente ribaditi agli organi di controllo dei vigili affinché non si comportino con «proterva inflessibilità» con chi ha bisogno da un lato e dall'altro con «compiacente lassismo» nei confronti di altri soggetti non legittimati «ad avvalersi di qualsivoglia causa esimente».

 


domenica 10 novembre 2013

La Cassazione conferma l'ammissibilità nel processo tributario del ricorso cumulativo e dell'appello cumulativo


La Cassazione conferma l'ammissibilità nel processo tributario del ricorso cumulativo e dell'appello cumulativo per contestare più provvedimenti della p.a. per lo stesso tributo anche se appartenenti a più annualità

 

La Corte di Cassazione – Sesta Sezione Civile – con l'ordinanza n. 25129/13, depositata venerdì 08 novembre, ha confermato l'ammissibilità nel processo tributario del ricorso cumulativo nonché dell'appello cumulativo avverso più sentenze emesse tra le stesse parti, sulla base della medesima "ratio", in procedimenti formalmente distinti ma attinenti al medesimo rapporto giuridico d'imposta, pur se riferiti a diverse annualità, ove i medesimi dipendano per intero dalla soluzione di una identica questione di diritto comune a tutte le cause, in ipotesi suscettibile di dar vita ad un giudicato rilevabile d'ufficio in tutte le cause relative al medesimo rapporto di imposta.

In sostanza, la Suprema Corte ha confermato la legittimità del ricorso cumulativo, che peraltro -  ricorda Giovanni D'Agata, presidente dello "Sportello dei Diritti" - è stato utilizzato nelle cause relative agli estimi catastali contro l'Agenzia del Territorio di Lecce per tutti i contribuenti che si sono rivolti all'associazione coadiuvati dagli avvocati Maurizio Villani e Francesco D'Agata, nonostante le critiche di altre associazioni di categoria, che probabilmente non erano a conoscenza dell'orientamento giurisprudenziale della Cassazione sul punto della legittimità del ricorso cumulativo nonché dell'appello cumulativo.

 


sabato 9 novembre 2013

Publiacqua a Firenze. Se un condòmino e' moroso, il servizio non puo' essere tagliato a tutto il condomìnio

Firenze, 9 novembre 2013. Si stanno ripetendo, in queste ultime settimane, iniziative illegali da parte del gestore monopolista del servizio idrico, Publiacqua, che taglia il servizio a tutto il condomìnio anche se ad essere moroso e' un solo condòmino. Sono notizie di cronaca quotidiana, oltre alle lettere che arrivano al nostro servizio di consulenza. Se dovesse nuovamente accadere, consigliamo agli utenti di chiamare i carabinieri per intimare il ripristino immediato del servizio, e quindi far partire la richiesta danni verso Publiacqua.
Questi tagli ai condomini interi sono illegali: la nuova legge sul condominio entrata in vigore lo scorso giugno, prevede esplicitamente una procedura che il gestore idrico deve seguire prima di pretendere il pagamento del condòmino moroso da parte del condomìnio tutto. L'art.18 di questa nuova legge ha modificato l'art.63 delle disposizioni per l'attuazione del codice civile, che dicono: "....I creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l'escussione degli altri condomini....", Il creditore, quindi, potrebbe agire contro i condomìni che hanno pagato solo dopo che ha fatto tutti gli atti di legge (inclusi quelli esecutivi e pignoramenti) nei confronti del condòmino che non ha pagato la propria bolletta. Importante sara' che l'eventuale ditta letturista dei singoli contatori e che poi paga al fornitore in base al contatore condominiale, abbia versato al fornitore le quote raccolte tra chi ha pagato; importante perche' ci
risulta che molte di queste aziende letturiste -per mantenere liquidi nelle proprie casse- paghino al fornitore solo quando hanno raccolto i soldi delle bollette di tutti i condòmini, trattenendo, nel caso di una o piu' morosita', nelle proprie casse i soldi gia' raccolti, per versarli solo quando tutti abbiano pagato. Occorre quindi, in questi casi, intimare al letturista il dovuto, anche con minacce di azioni legali (1).
Va da se' che queste cose Publiacqua le dovrebbe conoscere bene, ma il fatto di essere monopolista e in conflitto di interessi (questo gestore e' proprieta' dei medesimi Comuni che dovrebbero controllare il servizio che rende ai loro amministrati),  lo convince di possedere una sorta di potere al di sopra e fuori delle leggi. Uno dei sintomatici scandali del sistema italico di privatizzazioni, dove il pubblico uscito dalla finestra (Publiacqua e' una spa di diritto privato) rientra dalla finestra. Chi paga? Ovviamente l'utente, e il caso in oggetto e' solo un esempio di quotidiane illegalita' e vessazioni.
Ricordiamo che ulteriori consigli sono possibili grazie al nostro servizio gratuito di consulenza, a partire dal web: http://www.aduc.it.

(1) Qui piu' nel dettaglio e coi riferimenti normativi: http://www.aduc.it/comunicato/contatori+condominiali+nuova+legge+condominio+vieta_21404.php

Vincenzo Donvito, presidente Aduc
Associazione per i diritti degli utenti e consumatori

venerdì 8 novembre 2013

Lavoro. Per il Giudice del Lavoro il contratto a termine va convertito in contratto a tempo indeterminato

Per il magistrato: il contratto a termine  va convertito in contratto a tempo indeterminato

 

È questo il principio con cui il Giudice del Lavoro di Lecce (Dott.ssa Ferreri) ha accolto il ricorso proposto da un ex dipendente della Società partecipata del Comune di Galatina (la Centro Salento Ambiente Spa), che si occupa, tra l'altro, anche della raccolta dei rifiuti urbani.

La vicenda, evidenzia Giovanni D'Agata, presidente dello "Sportello dei Diritti", traeva origine da un ricorso proposto da un ex lavoratore della partecipata con la qualifica di netturbino che, dopo essere stato assunto dal CSA con contratto a tempo determinato per la prima volta nel 2007, ha poi ottenuto delle proroghe, sempre a tempo determinato, solo sino al 2011.

Da qui il ricorso al Giudice del Lavoro, per il tramite dello Studio Legale Matranga, con cui il ricorrente ha lamentato la nullità del contratto a tempo determinato chiedendone la trasformazione dello stesso a tempo indeterminato, atteso che il datore di lavoro non aveva specificato le ragioni di tale assunzione a termine.

In particolare, nel ricorso l'ex dipendente sosteneva che il CSA aveva proceduto alla stipulazione dei diversi contratti di lavoro a tempo determinato adducendo a giustificazione delle generiche esigenze organizzative del servizio e non meglio specificando le ragioni generatrici di tali esigenze.

Il Giudice del Lavoro, accogliendo in pieno tesi del difensore del ricorrente, ha statuito che il CSA nulla ha precisato in ordine alle concrete ragioni che hanno condotto all'assunzione a tempo determinato dell'istante nel periodo in esame, né ha indicato i motivi dell'assunzione e dell'impiego temporaneo con riguardo alla realtà lavorativa in cui il dipendente è stato inserito, se non attraverso la mera ripetizione di previsioni astratte.

Pertanto, il Giudice ha dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro sottoscritto in data 31.10.07, perché privo di motivazione così come richiesto dalla legge e dalla giurisprudenza anche comunitaria, e la conversione dello stesso in contratto di lavoro a tempo indeterminato, condannato il CSA al pagamento a titolo di risarcimento di tre mensilità in favore del lavoratore e condannando altresì la Società al pagamento delle spese legali, liquidate in € 1.200,00 oltre accessori di legge con distrazione in favore del difensore.

 


giovedì 7 novembre 2013

Corte di giustizia europea .Può essere riconosciuto lo status di rifugiato al cittadino omosessuale extraUE, ma solo se nel paese d'origine l'omosessualità è davvero punita col carcere

Tocca all'autorità dello Stato europeo dopo la domanda di asilo verificare se nella patria del richiedente tale tipo di discriminazione è punita con una pena detentiva concretamente applicata

 

La Corte di giustizia europea con la sentenza emessa nella causa 199/12, pubblicata il 7 novembre dalla quarta sezione mette dei punti fermi sulla possibilità di ottenere lo status di rifugiato in Unione Europea al cittadino extra UE omosessuale.

Ad evidenziarlo, Giovanni D'Agata, presidente dello "Sportello dei Diritti", dopo l'importante decisione che avrà certamente ampio eco in tema di tutela dei diritti e contro le discriminazioni.

Tale possibilità, è concessa secondo i giudici comunitari ad una determinata condizione: ossia se nel paese di provenienza l'omosessualità non soltanto è considerata quale reato ma viene anche punita in concreto con una pena detentiva che risulta davvero applicata nella prassi.

Nella fattispecie, la questione portata innanzi alla Corte UE riguardava tre richiedenti asilo d'origine africana, in particolare da Sierra Leone, Uganda e Senegal che avevano chiesto di essere accolti dai Paesi Bassi.

Secondo i giudici un cittadino non comunitario gay per ottenere lo status di rifugiato in Europa deve dimostrare che «gli atti di persecuzione devono essere sufficientemente gravi, per loro natura o frequenza, da rappresentare una violazione grave di diritti umani fondamentali».

Nel caso di cui ci si occupa i tre extracomunitari sostenevano di avere il fondato timore di subire una persecuzione nelle loro patrie a causa del loro orientamento sessuale.

Ed è vero che in tutti e tre gli Stati, gli atti omosessuali sono perseguibili penalmente e per i quali sono previste pene severe: si passa da pesanti sanzioni pecuniarie per arrivare addirittura all'ergastolo.

L'orientamento sessuale, evidenziano i giudici comunitari, costituisce una caratteristica tanto fondamentale per l'identità di una persona che nessuno dovrebbe essere costretto a rinunciarvi. L'esistenza di una legislazione penale che riguarda in modo specifico le persone omosessuali consente di affermare che queste costituiscono «un gruppo a parte, percepito dalla società circostante come diverso». Dev'essere però specificato che affinché una violazione dei diritti fondamentali possa essere ritenuta alla stregua di una persecuzione ai sensi della convenzione di Ginevra, la discriminazione deve comunque raggiungere un determinato livello di gravità. E la condanna alla prigione per gli atti omosessuali può ben rappresentare un atto di persecuzione a patto che la pena detentiva nella pratica trovi effettivamente applicazione.

 


Codacons su phishing

TRUFFA DEL PHISHING: IMPORTANTE SENTENZA A FAVORE DEL CONSUMATORE

 

POSTE ITALIANE DEVONO RISARCIRE UN TRUFFATO

 

LA NEGLIGENZA DEL CONSUMATORE VA PROVATA ED I RISCHI PER LA VIOLAZIONE DEL SISTEMA DI SICUREZZA SONO A CARICO DI CHI LO HA SCELTO

 

Importante sentenza sul phishing, la truffa via internet che, utilizzando un'email con grafica contraffatta della ditta e/o della banca del consumatore o rimandando ad una finta pagina web del tutto simile all'originale, lo induce a fornire password di accesso, numero della carta di credito o altri dati personali.

In questo caso il sig. Ivan D'Elia, residente a Milano, a causa di una frode informatica, scopriva, nel 2009, che dal proprio conto corrente postale erano state indebitamente prelevate, per ben 3 volte, somme di denaro, per un ammontare complessivo di 1.322 euro. Nonostante denuncia alle forze dell'ordine, telefonate, fax, raccomandate e tentativi di conciliazione con Poste Italiane, non riesce ad ottenere il rimborso delle somme prelevate.

Per Poste Italiane, infatti, le frodi informatiche non sono considerate risarcibili, dato che i loro servizi on line "sono realizzati con sistemi di protezione che rispettano elevati standard di sicurezza", "la connessione protetta si attiva, infatti, fin dall'avvio dei primi dati inseriti (nome utente e password)" e per ogni operazione disposta dal cliente "il sistema richiede quattro caratteri sempre diversi del codice dispositivo (Pin)". Per Poste Italiane "deve, perciò, essere cura di chi utilizza strumenti informatici adottare tutte le cautele necessarie per garantire la riservatezza dei propri dati". Inoltre "già a partire dall'anno 2005, Poste italiane ha provveduto a mettere in guardia la propria clientela con comunicazioni scritte….", nel loro sito "è stata inserita un'informativa…..". Per tutte queste ragioni, dunque, "nessun addebito può essere mosso a Poste per il danno subito" dal sig. D'Elia.

Non la pensa così, però, il giudice di pace di Milano, Dr. Bruno Giovanni Pulci, che condanna Poste Italiane sia al risarcimento di 1322 euro, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, sia al pagamento delle spese e competenze, liquidate complessivamente in 957 euro.

Per il Giudice, infatti, la tesi introdotta da Poste "di negligenza nella custodia dei codici o comunque di risposte fornite dall'attore a malintenzionati, dei dati di parte attorea (c.d. "phishing") per via telematica (…)  appare infondata in quanto trattasi di mere affermazioni prive di riscontro".

Inoltre, sebbene il sig. D'Elia "non abbia provato, nemmeno a mezzi testi la diligente custodia dei codici d'accesso al proprio conto, risulta non contestato che i prelievi sono stati effettuati" dal truffatore in suo favore.

Insomma, "non risultando essere stata provata (…) la mancata diligenza nella custodia delle schede segrete personali", "la domanda attorea appare meritevole di accoglimento".

Per il Giudice, infatti, "i rischi relativi alla violazione del sistema di sicurezza adottato per il c.d. <homebanking>, devono rimanere a carico della parte che la scelto il sistema e che, nella circostanza, è Poste Italiane spa, convenuta, non essendo stata provata, neppure, la negligenza di parte attorea".

"E' una vittoria per tutte le migliaia di persone che vengono truffate ogni anno via internet" ha dichiarato il presidente del Codacons, avv. Marco Maria Donzelli. "Ora un giudice ha sentenziato che l'onere della prova è a carico del proprietario del sito, banche o Poste Italiane che siano. Solo loro che devono provare la negligenza del consumatore nella custodia dei propri dati personali. Non basta supporla. I rischi per la violazione di un sito, insomma, sono a carico di chi lo ha fatto e ha scelto il sistema di sicurezza. Se un malfattore entra fraudolentemente nel conto corrente online di un consumatore, quindi, quest'ultimo deve essere risarcito da chi gestisce il sito se non viene dimostrato il suo utilizzo negligente" ha concluso Donzelli.

 


mercoledì 6 novembre 2013

Danno da stress all'inquilino per l'autoclave rumorosa se il proprietario dell'immobile non mette la sordina

Condannato l'ente case popolari a ridurre le emissioni sotto la soglia di tollerabilità. Ben 18 mila euro per il risarcimento da sindrome d'ansia per l'insopportabile "stop and go" del motore.

 

A quanti inquilini capita di essere vittime nei propri condomini di quell'insopportabile attacca e stacca del compressore dell'autoclave che sovente si ripete centinaia di volte al giorno e rende intollerabile la vita in casa. Per taluni sfortunati è un rumore che fa impazzire, o quasi.

Ma dopo la sentenza numero 18683/13 del giudice unico Roberta Nardone, pubblicata dalla sesta sezione civile del tribunale di Roma, forse i proprietari degli immobili faranno più attenzione e renderanno meno dura l'esistenza di chi subisce quell'intollerabile rumore.

A evidenziarlo Giovanni D'Agata, presidente dello "Sportello dei Diritti" che sottolinea il fatto che c'è voluta una coraggiosa inquilina di una casa dell'ex Istituto Autonomo Case Popolari che a seguito di un giudizio ha ottenuto sia l'obbligo per l'ente di mettere una sordina all'impianto, ma anche un cospicuo risarcimento del danno biologico valutato da una consulenza medico legale disposta dal giudice a causa di «un disturbo dell'adattamento da stress», nella misura del 13 %. E così le sono stati riconosciuti quasi 18 mila euro.

 Il giudice del tribunale capitolino, ha quindi accolto tutte le doglianze della malcapitata condomina. Anche perché gli ispettori dell'Asl avevano confermato che la cabina del locale di servizio che ospita l'impianto centrale di approvvigionamento dell'acqua a servizio dell'edificio era troppo umida. A causa di  tanto nel locale si formano muffe e infiltrazioni d'acqua e, a lungo andare, le pompe si erano deteriorate. Né mai l'ente proprietario ha cercato di ovviare al malfunzionamento.

Anche i testimoni ascoltati hanno confermato quanto assunto dall'attrice, ossia che il rumore dura solo qualche secondo, ma è assordante e si manifesta ogni volta che il motore entra in servizio o si ferma.

È facile, quindi, dedurre in che condizioni viva la signora che occupa l'appartamento al piano terra.

Il Ctu infatti, conferma che il quadro clinico della signora mostra una «gravità medio-elevata», con sindrome d'ansia e disturbo dell'umore, depresso «per l'esposizione a stimoli ambientali» che sono compatibili con la «condizione psicopatologica» in cui vive l'inquilina. Il danno biologico è liquidato in base alle tabelle romane e l'ente paga anche le spese.

 


martedì 5 novembre 2013

Uccide il gatto del vicino? Condannato per maltrattamento di animali

Uccide il gatto del vicino? Condannato per maltrattamento di animali. Pesante ammenda di 7 mila euro di multa per l'imputato reo di aver sparato con la carabina l'animale. Non si possono applicare attenuanti generiche

 

Comportamento "bestiale" che dev'essere punito esemplarmente: chi uccide un animale non se la può cavare né pretendere alcuna attenuante. Lo sostiene Giovanni D'Agata, presidente dello"Sportello dei Diritti" , che plaude alla sentenza n. 44422 della Cassazione Penale pubblicata il 4 novembre che ha confermato la condanna ad un'ammenda pari a 7000 euro e senza alcuna attenuante per l'imputato accusato di aver ucciso con la carabina uno dei gatti del vicino sol perché infastidito. Peraltro, la reiterata condotta aggressiva verso gli animali è ritenuta quale circostanza aggravante. Nel caso di specie, il tribunale di Genova aveva condannato l'uomo ritenuto colpevole del reato previsto dall'articolo 544 del c.p. (maltrattamento di animali) a pagare l'ingente multa 7mila per aver causato la morte di uno dei gatti della vicina dopo l'esplosione di alcuni colpi.

Il condannato ha quindi proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza di primo grado nella convinzione che il primo giudice avesse erroneamente ritenuto la condotta aggressiva verso gli animali una circostanza aggravante. Ma gli ermellini hanno rigettato tali doglianze ed anzi rilevano che: «Non solo il tribunale ha esplicitato la valutazione di non necessità della condotta, anche volendosi porre nell'ottica di una reazione dell'imputato a situazione di fastidio, ma ha complessivamente ricostruito il fatto nella prospettiva di una ripetizione di condotte aggressive che hanno in ultimo condotto alla morte di un animale». Non può essere applicata, quindi, alcuna attenuante generica. Il giudice di prime cure, ha soltanto condannato l'imputato alla pena pecuniaria in virtù della circostanza che vittima del reato é risultato solo un felini, «così effettuando un complessivo bilanciamento degli elementi ritenuti rilevanti. Non ritenendo di scendere sotto la pena minima edittale, e, anzi, valutando opportuno infliggere una pena di poco superiore in relazione alle modalità della condotta sopra ricordate, il giudicante ha offerto una motivazione che escluda l'esistenza i ragioni per l'applicazione dell'art.62-bis c.p».       

 


lunedì 4 novembre 2013

Nullo il verbale per eccesso di velocità col Tutor se il prefetto non dimostra la taratura periodica.

Annullato il verbale per il mancato raggiungimento della prova del corretto funzionamento del sistema di controllo autostradale con cui viene rilevata la velocità.

 

Stop alle multe col Tutor se non viene provato che lo strumento di rilevazione delle infrazioni in autostrada funziona correttamente in virtù della taratura periodica prevista dalla normativa.

È questo per Giovanni D'Agata, presidente dello "Sportello dei Diritti", il principio stabilito con la sentenza 112/13 dal giudice di pace di Ovada in provincia di Alessandria, Paola Pardini.

Nella fattispecie è stato, infatti, accolto il ricorso di un proprietario dell'autovettura che era stato sanzionato ai sensi dell'articolo 142, comma 8, del Codice della Strada, per la contestazione di un eccesso di velocità di oltre dieci chilometri il limite previsto nel tratto autostradale individuato nel verbale.

Com'è  noto, il ministero dei Trasporti ha stabilito che sul Sicve  (altro nome del Tutor) debbano effettuate verifiche annuali ad opera del costruttore secondo le norme del sistema di qualità Iso 9001, sull'assunto che sugli apparecchi Tutor installati in autostrada è il concessionario a dover provvedere alla verifica metrologica annuale.

Nel caso in questione il verbale attesta «la corretta installazione e il buon funzionamento» del Tutor e riferisce che l'apparecchio è stato sottoposto al controllo dell'installazione e dell'attivazione, ma non alle successive taratura periodiche, senza possibilità di riscontro nel verbale del numero di matricola e del modello dello strumento.

La prefettura pur costituitasi non è comparsa all'udienza e non è riuscita a provare il corretto iter per procedere alla contestazione.

 


sabato 2 novembre 2013

Diritti Umani. La Germania permette l'opzione del 'terzo sesso' alla nascita

Un passo avanti nel campo dei diritti umani e per Giovanni D'Agata, presidente dello "Sportello dei Diritti", anche un esempio di civiltà, viene dalla Germania che è diventato il primo paese europeo che consentirà ai bambini di essere registrati per sesso "indeterminato".

Da ieri 1 novembre, per i genitori tedeschi non sarà più necessario compilare il campo del "genere" sui certificati di nascita, essendo stata creata un'opzione apposita nel pubblico registro specie per tutti quei bambini i cui cromosomi sessuali, i genitali e/o i caratteri sessuali secondari non sono definibili come esclusivamente maschili o femminili.

Il cambiamento in questione è destinato allo scopo di rimuovere la pressione sui genitori dei bambini che hanno caratteristiche di entrambi i sessi,  affinché evitino di decidere rapidamente sulla chirurgia in caso di sesso controverso.

La legge segue un rapporto 2012 del Consiglio di etica tedesco, che ha la funzione di esprimere pareri al governo e al Parlamento su questioni etiche complesse.

Molte persone che sono state sottoposte a un'operazione di 'normalizzazione' nella loro infanzia hanno poi sentito come questa sia stata una mutilazione che non avrebbero mai accettato da adulti.

Il rapporto ha descritto la necessità di essere stati iscritti nel registro delle nascite come "femmina" o "maschio", come un'ingiustificata intrusione su diritti personali e il diritto alla parità di trattamento.

Tuttavia, un portavoce del Ministero dell'Interno tedesco ha sottolineato come la nuova legge non sia sufficiente a risolvere completamente i problemi complessi di persone intersessuate, anche perché molteplici sono state le perplessità di alcuni che hanno sostenuto che la nuova normativa potrebbe innescare un'ulteriore discriminazione di genere.

Gli esperti stimano che la popolazione di persone intersessuate corrisponda ad una ogni 1.500-2.000 nati. I sostenitori della legge dicono che il numero è molto grande, in parte a causa della difficoltà di definire l'intersessualità fisicamente o ormonalmente.

In Australia già all'inizio di quest'anno è stato consentito agli individui e non solo ai neonati di essere identificati come intersessuati sui documenti personali ed il governo in questione ha fatto sì che anche l'identità di genere divenga una categoria protetta sotto le leggi federali anti-discriminazione.

Lo "Sportello dei Diritti" chiede a gran voce che anche in Italia sia data comunque voce a tutti i cittadini intersessuati cui sino ad oggi nel Nostro Paese non è stato dato quasi diritto di "cittadinanza", attraverso un'apposita legislazione sulla scia di quanto fatto in Germania ed in Australia.

 


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