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giovedì 4 settembre 2014

Immigrazione. Ha diritto al ricongiungimento l'immigrato anche se si «distacca» dalla famiglia per dissapori

L'art. 29 D.lgs. n. 286/98 salvaguarda il diritto alla vita affettiva in funzione della quale l'espulsione non dev'essere effettuata

Ha diritto al ricongiungimento alla propria famiglia l'immigrato, anche se in passato ha avuto dissapori con un parente e per questo si sia distaccato. A stabilirlo la Cassazione con l'ordinanza n. 18608, pubblicata ieri 3 settembre dalla sesta sezione civile che per Giovanni D'Agata, fondatore dello "Sportello dei Diritti", evidenzia la preminenza dei legami familiari rispetto alla posizione irregolare dello straniero.Nella fattispecie, i giudici di legittimità hanno accolto il ricorso di un cittadino originario del Senegal avverso il decreto di espulsione emesso dal prefetto di Cagliari per non aver chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare.In prima istanza il giudice di pace di Cagliari aveva rigettato l'opposizione dello straniero che comunque ha deciso di ricorrere alla Suprema Corte.Secondo gli ermellini, né l'autorità amministrativa né il giudice di pace avrebbero tenuto conto dei legami familiari e dell'inserimento sociale del ricorrente, giunto in Italia per ricongiungersi al padre, con cui in passato aveva avuto alcuni dissapori. Non vi è dubbio che l'immigrato era intenzionato a «conservare l'unità del suo nucleo familiare», considerato che aveva instaurato anche una stabile relazione con una ragazza italiana e non aveva precedenti penali.I giudici di Piazza Cavour hanno così ritenuto fondato il primo motivo di ricorso del senegalese. L'articolo 13, comma 2 bis, del D.lgs. n. 286/98 prevede che «nell'adottare il provvedimento di espulsione ai sensi del comma 2, lettere a) e b), nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell'articolo 29, si tiene anche conto della natura e dell'effettività dei vincoli familiari dell'interessato, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d'origine».La norma, introdotta dal D.lgs. n. 5/08, di attuazione della direttiva 2003/86/CE sul diritto al ricongiungimento familiare, tende a salvaguardare il diritto alla vita familiare dello straniero tutte le volte che esso non contrasti con prioritari interessi pubblici (e infatti non trova applicazione nel caso di espulsione per pericolosità sociale ai sensi della lett. c) dell'articolo 13, comma 2, cit.). In funzione di tale diritto, continua la Corte di legittimità, l'espulsione dev'essere evitata «ancorché sarebbe consentita sul mero presupposto della posizione irregolare dello straniero».Nell'ordinanza impugnata, invece, manca del tutto una valutazione dei profili inerenti al diritto alla vita privata familiare del ricorrente. Il Giudice di pace, infatti, si era limitato a motivare con riferimento alla «non dimostrata titolarità, da parte del ricorrente, di un documento valido per l'espatrio, di una stabile dimora ove essere rintracciato, di un lavoro che gli garantisse un reddito certo, e ciò al solo fine di giustificare il suo immediato accompagnamento alla frontiera».




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