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domenica 10 luglio 2016

Per ribaltare la sentenza di assoluzione di primo grado il giudice di appello deve risentire il testimone

Firenze, 10 Luglio 2016. E' oramai sotto gli occhi di tutti la sempre maggior influenza che il diritto comunitario e sovranazionale esercita nel nostro ordinamento. Anche il microcosmo del diritto penale, che fino a poco tempo fa sembrava immune da influenze "esterne", deve fare i conti con le norme dei trattati internazionali e con l'interpretazione che ne danno le corti europee. Nel bene e nel male. Tra i casi più eclatanti degli ultimi tempi vi è quello della sentenza Taricco, con cui la Corte di Giustizia Europea ha giudicato incompatibile con gli obblighi europei di tutela penale la disciplina italiana della prescrizione, imponendo ai giudici di disapplicarla per alcune specifiche fattispecie di reato (gravi frodi in materia di Iva) e facendo così vacillare secolari certezze della penalistica italiana. A bacchettare lo Stato italiano sulla prescrizione era già intervenuta – questa volta, però, dalla parte della vittima del reato e con effetti meno dirompenti
perché limitati ad una condanna pecuniaria allo Stato inadempiente - la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo, che aveva condannato l'Italia per avere lasciato prescrivere i delitti commessi dai responsabili delle nostre forze dell'ordine in occasione dei fatti della scuola Diaz in occasione del G8 di Genova del 2001.
Del resto non vi è da stupirsi. La giustizia italiana tutta, non soltanto penale, sembra vegetare in uno stato di perenne imbambolamento, incapace di reagire alle macroscopiche inefficienze che le affliggono e che finiscono per riverberarsi, come sempre accade, sull'utente del servizio, che sia vittima o imputato. 
Ben vengano, dunque, tutte quelle "aperture" verso la normativa sovranazionale che portano ad aumentare le garanzie del cittadino, come la recente pronuncia n. 27620 della Sezioni Unite della Cassazione che ha imposto dei paletti alla reformatio in peius (il ribaltamento di un'assoluzione) in appello, facendo leva su una corretta applicazione dei principi contenuti nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, che costituiscono parametro interpretativo delle norme processuali interne, ed, in particolare dell'art. 6, par. 3, lett. d), relativo al diritto dell'imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico.
I giudici di legittimità hanno infatti stabilito che il giudice di appello non può condannare l'imputato precedentemente assolto sulla base di una diversa valutazione di testimonianze ritenute decisive, se non procede a riassumere tali testimonianze davanti a sé. Questo perché, in un processo improntato ai principi di oralità, immediatezza e contraddittorio, non può dirsi rispettato il canone di giudizio "al di là di ogni ragionevole dubbio" se il giudice di appello, nel condannare l'imputato, omette di risentire direttamente il testimone decisivo, perché la percezione diretta della prova dichiarativa è insostituibile ed è il presupposto di una valutazione della prova che possa dirsi logica, razionale e completa e che, solo così, può fondare una sentenza di condanna. 

Adriano Saldarelli, legale Aduc



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