L'articolo 656 del codice penale già prevede: "Chiunque pubblica o diffonde notizie false, esagerate o tendenziose, per le quali possa essere turbato l’ordine pubblico, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 309."
Su Repubblica, Boldrini - che ha lanciato anche la piattaforma Bastabufale.it - parlava di fake news come di fonte e anticamera di odio e per affrontarle chiedeva la collaborazione di Facebook: una collaborazione di cui finora - a quando pare - l'Italia non ha potuto godere sia in merito ai contenuti da rimuovere ("l'apologia del fascismo da noi è reato, ma i rappresentanti italiani della sua azienda rispondono che non è compreso nelle regole di Facebook e che gli standard della comunità devono poter valere in ogni Paese"), sia rispetto agli altri Paesi, in primis Francia e Germania: se Parigi sembra essere riuscita a trovare accordi con i principali operatori ICT per diverse iniziative da attivare in tempo per limitare il proliferare di bufale in occasione delle prossime presidenziali, e stessa cosa ha fatto Berlino in vista di elezioni politiche, Roma sembra non essere riuscita a farsi ascoltare dagli operatori della Rete.
Forse anche per questo le istituzioni italiane si ritrovano ora a forzare la mano, con una proposta di legge che affronta il problema della diffusione delle cosiddette fake news, con una mannaia che finisce tuttavia per rappresentare uno strumento sproporzionato che rischia di ricomprendere le fattispecie più disparate.
Il comma 2 prevede anche che, qualora pubblicando o diffondendo online notizie false, esagerate o tendenziose, si incorra anche nel reato di diffamazione, la persona offesa può chiedere, oltre al risarcimento dei danni previsto dall'articolo 185 del codice penale, anche una somma a titolo di riparazione, determinata non solo in relazione alla gravità dell'offesa ma anche in base al grado di diffusione della notizia: una misura che insomma finisce per equiparare, nonostante la giurisprudenza stia andando in senso contrario, diffamazione via social network a quella a mezzo stampa disciplinata dall'articolo 12 della legge n. 47 del 1948 e del relativo aggravante previsto dall'articolo 595, comma 3 del codice penale.
L'articolo 2 introduce nel codice penale due nuovi delitti riguardanti "Diffusione di notizie false che possano destare pubblico allarme o fuorviare settore dell'opinione pubblica o aventi ad oggetto campagne volte a minare il processo democratico", attraverso due nuovi articoli del codice penale: il 265-bis, che prevede la reclusione non inferiore a dodici mesi e ammenda fino a 5mila euro; e il nuovo articolo 265-ter, che prevede che "chiunque si renda responsabile di campagne d'odio contro individui o di campagne volte a minare il processo democratico, anche a fini politici, è punito con la reclusione non inferiore a due anni e con l'ammenda fino a euro 10.000". Infine la norma prevede l'obbligo di registrazione "di ogni spazio online destinato alla diffusione di informazioni presso il pubblico", in un registro apparentemente parallelo a quello degli organi di stampa, e con i medesimo obblighi come quello di rettifica.
Oltre a rischiare di violare norme costituzionali come la libertà di espressione, e il buon senso, nonché prevedere uno strumento utilizzabile per adottare vere e proprie forme di censura, la proposta di legge ignora anche le disposizioni comunitarie in materia di non responsabilità degli intermediari: all'articolo 7 si prevede infatti "che i gestori dei siti siano tenuti ad effettuare un costante monitoraggio di quanto diffuso sulle proprie piattaforme web, compresi i commenti degli utenti, con particolare riguardo a frasi offensive e a informazioni verso le quali viene manifestata un'attenzione diffusa e improvvisa".
Naturalmente contro la proposta si sono già mobilitati osservatori e studiosi del settore. L'ammazza-blog, al confronto, sembrava una carezza.
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