Farà ridere i più l'epilogo di una classica vicenda tra dirimpettai, ma riderà di meno, senz'alcun dubbio, il cittadino che per reagire a dei torti subiti aveva sparso della terra sulle loro auto e per aver epitetato "vigliacchi" i vicini rischia di essere condannato a seguito di una sentenza della cassazione.
La rigorosa sentenza della cassazione penale ha infatti posto le basi per un giro di vite nei confronti degli scherzi e dispetti tra condomini secondo Giovanni D'AGATA, componente del Dipartimento Tematico "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori e fondatore dello "Sportello dei Diritti".
Nel caso in esame, gli ermellini hanno deciso di annullare una sentenza di assoluzione del Giudice di Pace resa nei confronti di un vicino dispettoso.
Come detto, il 32enne aveva sparso della terra sulle auto dei vicini per reagire ad un torto subito, che avevano provveduto a querelarlo sino farlo imputare per il reato d'imbrattamento e deturpamento di cui all'articolo 639 del codice penale e per il reato d'ingiuria avendoli apostrofati come "vigliacchi".
Il Giudice di Pace aveva deciso per l'assoluzione "perchè il fatto non costituisce reato", poiché "la terra buttata sulle vetture avrebbe potuto facilmente essere rimossa e dunque non aveva scalfito i veicoli". Contemporaneamente l'imputato era stato assolto anche dall'accusa di ingiuria poiché secondo la corte di merito il termine "vigliacchi" sarebbe entrato nell'"uso comune".
La Suprema Corte, investita da un ricorso ha annullato la decisione di merito rinviando la causa per un nuovo esame.
I giudici di piazza Cavour hanno ritenuto "illegittima" l'assoluzione dall'accusa di imbrattamento e deturpamento "solo in base al dato inerente alla facile rimozione delle stesso elemento usato per imbrattare, vale a dire la terra sguinzagliata sui veicoli altrui", ciò che "resta sufficiente ad integrare la fattispecie criminosa - scrive la Corte - è proprio la condotta di materiale mutamento delle condizioni in cui il bene altrui si trovava, in modo da alterarne l'aspetto".
Per quanto concerne il reato d'ingiuria, il giudice di legittimità sostiene che "una prassi o un uso comune del linguaggio non vale ad escludere l'offesa alla dignità e all'onore del soggetto passivo, trattandosi di termine ('vigliacchi') evidentemente dispregiativo".
Lecce, 06 ottobre 2010Giovanni D'Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori.
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