Dal 1991, infatti, lo straniero nato in Italia può diventare cittadino italiano al compimento dei diciotto anni, ed entro il 19esimo anno di età. La legge 91/1992, all'art. 4, comma 2, prevede che: "Lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore eta', diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dalla suddetta data".
Si tratta di un diritto soggettivo (non una concessione dello Stato quindi) condizionato alla sussistenza di tre requisiti: essere nati in Italia, aver risieduto ininterrottamente in Italia fino ai diciotto anni e rendere dichiarazione di volontà di essere cittadino italiano (elezione di cittadinanza) entro un anno dal compimento della maggiore età.
Il requisito della residenza ininterrotta veniva inizialmente interpretato in maniera molto restrittiva - come purtroppo quasi sempre avviene nella normativa relativa agli stranieri - e di conseguenza veniva rifiutata la cittadinanza a chi non era stato iscritto all'anagrafe per colpa dei genitori o della pubblica amministrazione. Nel corso degli anni, la giurisprudenza e le circolari interpretative del Ministero dell'Interno hanno chiarito che non è necessaria l'iscrizione anagrafica, se la mancanza è attribuibile a colpa dei genitori o della pubblica amministrazione ed hanno anche chiarito che la dimora continuativa in Italia può essere provata anche con autocertificazione o con qualsiasi mezzo di prova (iscrizione a scuola, certificati vaccinali, ecc.).
A fugare ogni dubbio, è poi intervenuto il Parlamento che, all'art. 33 D.L. 21 giugno 2013, n. 69 convertito con legge 9 agosto 2013, n. 98 ha trasformato queste prassi e orientamento giurisprudenziale in norma: "all'interessato non sono imputabili eventuali inadempimenti riconducibili ai genitori o agli uffici della Pubblica Amministrazione, ed egli può dimostrare il possesso dei requisiti con ogni altra idonea documentazione".
Eventuali brevi periodi di assenza dall'Italia per motivi documentabili (studio, lavoro, assistenza alla famiglia, esigenze mediche, etc.) non interrompono il periodo di residenza legale.
Le dichiarazioni di elezione di cittadinanza per nascita sul territorio italiano non sono state per lungo tempo statisticamente significative, colpa soprattutto dell'ignoranza della norma da parte del minore che diventava maggiorenne o dei genitori, che non conoscevano questa possibilità e che non presentavano la dichiarazione di elezione entro i diciannove anni.
Anche su questo requisito è intervenuto il Parlamento nel 2013, stabilendo che l'ufficio di stato civile del Comune dove il minore risiede ("nella sede di residenza quale risulta all'ufficio") deve, nei sei mesi precedenti al compimento del diciottesimo anno, inviare una lettera al minorenne per ricordargli che può esercitare il proprio diritto(questa la lettera tipo, suggerita dall'ANCI - Associazione Nazionale Comuni Italiani -1).
Se la comunicazione arriva in ritardo, l'anno per poter dichiarare la volontà di essere cittadino italiano inizierà dal ricevimento della comunicazione.
Se la comunicazione non arriva, la richiesta potrà essere fatta in qualsiasi momento.
Quindi tutti gli stranieri nati in Italia che hanno compiuto 18 anni dal giugno 2013 in poi possono ancora oggi fare dichiarazione di elezione di cittadinanza se non hanno ricevuto la comunicazione da parte del Comune (in caso di contestazioni, la prova della corretta comunicazione – ad esempio ricevuta di ritorno di lettera raccomandata - deve fornirla il Comune).
Nel disegno di legge attualmente all'esame del Senato, il figlio di cittadini stranieri ottiene alla nascita la cittadinanza italiana, ma solo se almeno uno dei genitori è titolare di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (l'ex carta di soggiorno).
Quindi a ben vedere, la normativa attualmente in vigore, se da un lato costringe il minore ad attendere il diciottesimo anno di età per poter scegliere la cittadinanza italiana, dall'altra ha applicazione più ampia poiché non richiede la titolarità – da parte di un genitore - del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.
E allora, perchè "tenere appesi" tanti futuri italiani per 17 anni e 364 giorni, considerato che dal giorno successivo potranno scegliere comunque la cittadinanza italiana?
E che differenza c'è fra un bambino straniero nato in Italia ed un bambino straniero nato all'estero, venuto in Italia entro i dodici anni e che da allora ha vissuto in Italia, frequentato scuole italiane, avuto amici italiani?
La cittadinanza non è una scelta di valori, è un caso. Per caso si nasce in un luogo il cui sistema normativo prevede che chi nasce lì è cittadino di quel luogo; per caso si nasce in un luogo il cui sistema normativo prevede che chi nasce lì da genitori di quel luogo ne è cittadino, e nascere da genitori italiani non fornisce alcuna garanzia sui futuri valori del neonato.
La cittadinanza di chi nasce e vive in un luogo non arriva alla fine di un percorso, come per chi si sposta da un Paese all'altro e scegli di chiedere la cittadinanza. Arriva in partenza.
Ed esistono due cittadinanze, una burocratica, per la quale oggi ci si accapiglia in Parlamento, ed una reale. I bambini che sono nati in Italia, che qui sono cresciuti e che sentono l'Italia come casa propria sono italiani dentro ma non fuori.
E' questa la discrasia che il disegno di legge in discussione cerca di colmare, la vita è andata avanti, è tutto già accaduto. Negare la cittadinanza ai bambini italiani che hanno genitori stranieri non negherà l'evidenza.
1 - http://briguglio.asgi.it/
Emmanuela Bertucci, legale Aduc
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