Probabilmente non sapremo mai chi dice la verita': se il ministro dell'Interno che ha spifferato tutto per farsi bello e la Procura che ha fatto la garantista sui diritti dell'indagato, oppure se il ministro e' stato ligio e tutto e' stato spifferato dalla Procura, che si e' arrabbiata perche' lo scoop gli e' stato soffiato dal ministro e quindi si e' messa a fare la garantista.
Questa e' la nostra politica, la nostra giustizia e la nostra cultura? Diciamo che e' la loro, e noi ne siamo coinvolti in quanto sudditi di questa politica, di questa giustizia e -purtroppo anche- di questa cultura.
Qui abbiamo un ministro che sembra essere garantista e sembra non esserlo: sembra esserlo quando gli torna meglio (ricordiamo, a suo tempo, le strenue e legittime difese dell'imputato -non condannato- Silvio Berlusconi) ma non quando spiffera tutto ai media di una persona non ancora giudicata. E poi abbiamo una Procura che si indigna per i diritti degli indagati o che forse se ne frega di questi diritti e li strumentalizza per farsi bella. Una baillame in cui ci sono tre vittime: l'imputato che ancora deve considerarsi innocente e che nonostante ciò è stato sbattutto su tutti i media, chi fruisce di questa informazione, lo Stato di diritto.
Non ci addentriamo nella ricerca della verita', ma prendiamo atto di quanto accade: anche quando lo Stato potrebbe vantare un successo, prevalgono i personalismi e le polemiche tra istituzioni. Sicuramente, quando un ministro viene accusato dalla magistratura di aver violato la riservatezza delle indagini per farsi pubblicita', le alternative dovrebbero essere due e solo due: il ministro ha torto e deve dimettersi; oppure, la Procura ha torto e deve risponderne.
Ma come sappiamo gia', il ministro Alfano non si dimetterà, visto che non l'ha fatto in passato per casi piuttosto gravi (vedi caso Shalabayeva). E sappiamo già che nessun magistrato pagherà mai perché, di fatto, non esiste alcuna responsabilita' civile dei magistrati nonostante i cittadini lo avessero chiesto con un referendum del 1987.
Anche questa volta finirà tutto a tarallucci e vino...
Vincenzo Donvito, presidente Aduc
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