Una sentenza della Cassazione la n. 24510/10 della I sezione penale in materia di molestie via email ha fatto il già il giro dei media e sicuramente farà discutere secondo Giovanni D'AGATA, componente del Dipartimento Tematico Nazionale "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori.
Per la Suprema Corte, non è configurabile quale reato la semplice molestia via e-mail.
Tale principio è stato stabilito nella suddetta decisione che ha annullato senza rinvio, "perché il fatto non è previsto dalla legge come reato", la condanna al pagamento di un'ammenda di 200 euro. Il 41enne era stato condannato dal tribunale di Cassino per il reato di molestie per aver inviato a una donna mezzo della posta elettronica, un messaggio contenente "apprezzamenti gravemente lesivi della dignità e dell'integrità personale e professionale" del convivente della destinataria.
Il giudice di merito aveva considerato applicabile al caso de quo l'articolo 660 del codice penale, relativo al reato di molestie o disturbo alle persone ritenendo che la molestia via e-mail poteva essere associata a quella telefonica, poiché sarebbe ricompresa nella categoria di tutti gli "altri analoghi mezzi di comunicazione a distanza".
I Giudici di legittimità hanno quindi ribaltato quest'ultima interpretazione in quanto la posta elettronica "utilizza la rete telefonica e la rete cellulare delle bande di frequenza, ma non il telefono, né costituisce applicazione della telefonia, che consiste, invece, nella teletrasmissione in modalità sincrona, di voci o di suoni".
Ciò che però rileva in maniera evidente, secondo la Cassazione è l'altra essenziale differenza con la comunicazione telefonica consistente nell'asincronia di quella via mail. Spiegano, infatti, i giudici di piazza Cavour che "l'invio di un messaggio di posta elettronica, come una lettera spedita tramite il servizio postale, non comporta, a differenza della telefonata, nessuna immediata interazione tra il mittente e il destinatario, né intrusione diretta del primo nella sfera delle attività del secondo".
Il telefono, rispetto alla posta elettronica, assume "rilievo proprio per il carattere invasivo della comunicazione alla quale il destinatario non può sottrarsi, se non disattivando l'apparecchio telefonico, con conseguente lesione della propria libertà di comunicazione, costituzionalmente garantita". Analogo discorso andrebbe fatto anche per gli sms, poiché il destinatario è costretto a "percepirli prima di poterne individuare il mittente".
Per la Suprema Corte, dunque, il "turbamento del soggetto passivo costituisce condizione necessaria ma non sufficiente". "Per integrare la contravvenzione prevista e punita dall'articolo 660…" - argomentano gli ermellini – "…devono concorrere alternativamente gli ulteriori elementi circostanziali della condotta del soggetto attivo, tipizzati dalla norma incriminatrice: la pubblicità (o l'apertura al pubblico) del teatro dell'azione ovvero l'utilizzazione del telefono come mezzo del reato".
Lecce, 30 giugno 2010
Giovanni D'Agata Componente del dipartimento Nazionale " TUTELA DEL CONSUMATORE " di Italia Dei Valori.
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