Una sentenza che farà discutere la n. 6017/2010 della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, secondo il parere di Giovanni D'AGATA - componente del Dipartimento Tematico "Tutela del Consumatore" di Italia dei Valori - che se da una parte pone dei punti fermi sulla necessità di evitare lavori mortificanti per i diversamente abili, dall'altra introduce la possibilità di una limitazione del diritto al lavoro degli stessi.
I giudici di piazza Cavour, infatti, con la decisione in oggetto riguardo al collocamento obbligatorio, delineano il principio secondo cui l'imprenditore può rifiutare l'assunzione del disabile se il profilo richiesto non è in linea con la qualifica del lavoratore.
Secondo la Cassazione, in particolare, la norma, la cui ratio parte dal presupposto di considerare l'invalido una «risorsa» per l'azienda al pari degli altri lavoratori e non un «peso», è tesa a fare sì che la collocazione di un diversamente abile nell'organizzazione aziendale «sia utile all'impresa e che nello stesso tempo, per consentire l'espletamento delle mansioni per le quali il lavoratore è stato assunto, non si traduca in una lesione della sua professionalità e dignità».
Pertanto, «il datore di lavoro può legittimamente rifiutare l'assunzione non soltanto di un lavoratore» disabile «con qualifica diversa, ma anche di un lavoratore con qualifica "simile" a quella richiesta, in mancanza di un suo previo addestramento o tirocinio da svolgere secondo le modalità previste dall'art. 12 della legge 68 del 1999» norma regolatoria della materia del diritto al lavoro dei disabili.
Gli ermellini hanno definito, quindi, il ruolo dei datori di lavoro nei confronti dei diversamente abili accogliendo il ricorso di una società di costruzioni romana alla quale nei giudizi di merito era stato imposto l'obbligo di assumere un lavoratore disabile inserito dalla Provincia nella lista dei lavoratori diversamente abili che la società avrebbe dovuto assumere come "manovale".
Qualifica non richiesta dall'azienda, alla quale occorrevano "operai specializzati", e che per questo aveva rifiutato l'assunzione dell'invalido.
Un comportamento che sei nei primi due gradi di giudizio era stato ritenuto illegittimo è stato poi sconfessato dai giudici di legittimità che interpretando la ratio della legge del '99 hanno ritenuto che con la stessa «il legislatore con la legge ha inteso trovare un nuovo e più giusto equilibrio tra le aspirazioni dell'invalido ad un posto di lavoro, che sia più confacente alle proprie professionalità, e l'interesse dell'impresa ad un inserimento realmente proficuo dei lavoratori nella compagine aziendale».
Secondo la Cassazione la nuova disciplina sul collocamento degli invalidi ha introdotto «un sistema che non vede nel disabile un soggetto avente diritto ad un posto in virtù di un intervento meramente assistenziale dello Stato, che sia volto ad addossare alle imprese la responsabilità finale della doverosa tutela di alcuni cittadini, ma che in un'ottica diversa individui nel disabile una risorsa per la stessa impresa assicurandogli nello stesso tempo una giusta collocazione in azienda funzionalizzata, nel pieno rispetto della sua personalità, ad attestarne le sue capacità professionali e la effettiva utilità delle sue prestazioni lavorative».
La Cassazione ha puntualizzato che la nuova normativa ha posto un «radicale cambiamento» rispetto alle precedenti leggi in tema di collocazione dei diversamente abili ed ha introdotto nelle sue "linee guida" la «specificazione delle capacità tecnico-professionali di cui deve essere provvisto il disabile assumendo» perchè così si pone riparo alla «frequente insoddisfazione dei disabili per una collocazione mortificante perchè non di rado avvertiva come un peso da sopportare per non essere di alcuna effettiva utilità».
Lecce, 23 giugno 2010Giovanni D'Agata Componente del dipartimento Nazionale " TUTELA DEL CONSUMATORE " di Italia Dei Valori.
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Redazione del CorrieredelWeb.it
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