La nuova, devastante catastrofe
umanitaria, è anche conseguenza della normativa per cui gli Stati possono
intervenire in alto mare su navi battenti bandiera straniera solo quando giunge
una richiesta di soccorso.
Il mare Mediterraneo è suddiviso in aree di
controllo (cd zone Search and Rescue SAR) ma alcuni Stati della riva sud non
eseguono tale attività: si auspica quindi un accordo internazionale per la creazione di una
SAR pan-mediterranea. Va sottolineato che esistono tutte le tecnologie per
effettuare il controllo preventivo dell’intero Mediterraneo attraverso i
sistemi satellitari.
La nuova, devastante catastrofe
umanitaria, avvenuta secondo alcune fonti di stampa a circa 50 miglia nautiche dalle
coste libiche, e quindi in una zona di alto mare non sottoposta al controllo di
nessuno Stato, è certamente anche conseguenza della complessa condizione
politica e giuridica del Mediterraneo, oltre che della mancanza di una politica
per contenere e gestire il fenomeno delle migrazioni via mare adeguata e coerente
allo standard di tutela dei diritti umani che gli Stati europei e l’Unione si
sono impegnati ad assicurare dentro e fuori i propri territori.
I molti problemi giuridici relativi
a eventi drammatici come questo possono essere ricondotti a due doveri degli
Stati: prevenire il verificarsi di situazioni come l’uso di imbarcazioni
inadeguate per il trasporto di carichi umani eccessivi e condotti in modo
disumano e degradante; reprimere con maggiore intensità e rigore i responsabili
di queste pericolosissime migrazioni.
Considerando che l’intercettazione
dei migranti spesso avviene troppo tardi, solo quando giunge una richiesta di
soccorso, occorre ricordare che i poteri degli Stati di fermare la navigazione
in alto mare di navi battenti bandiera straniera sono limitati. Nel diritto
internazionale, infatti, manca una norma che permetta di intervenire in assenza
del consenso dello Stato della bandiera, anche se si tratta di navi stracariche
di persone evidentemente sottoposte a trattamenti disumani.
La libertà di
navigazione, sancita da un principio consuetudinario e dalla Convenzione delle
Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982, è garantita a tutte le
imbarcazioni che espongano una bandiera. L’art.110 prevede la deroga a questo
principio, consentendo di intervenire su una nave sospetta anche senza il
consenso dello Stato di appartenenza della nave, solo nei casi di pirateria,
tratta di schiavi, trasmissioni abusive. Ciò significa che il controllo in alto
mare di imbarcazioni che trasportano migranti, sia pure in evidente stato di
pericolo o di sofferenza, può essere effettuato anche prima di aver ricevuto una
richiesta di aiuto solo su imbarcazioni che non hanno nessuna bandiera.
Il trasporto illecito di migranti
(cd smuggling) è stato oggetto di regolamentazione da parte del Protocollo
delle Nazioni Unite sul Traffico di Migranti (Protocol against the Smuggling of
Migrants by Land, Sea and Air, supplementing the United Nations Convention
against Transnational Organized Crime), entrato in vigore nel 2004 in 121 Stati
tra cui Libia, Italia e UE. Sicuramente questo Protocollo dovrebbe essere
maggiormente valorizzato, soprattutto nell’intento di prevenire disastri
umanitari come questo, tuttavia, in termini concreti, rimane l’obbligo di
contattare lo stato della bandiera prima di intervenire.
Quando invece arriva una
richiesta - spesso troppo tardi per poter garantire un intervento tempestivo
delle autorità che abbiano la professionalità per gestire al meglio la
situazione – il soccorso (art. 98 della Convenzione) diviene un atto dovuto in
qualunque zona, quindi anche in alto mare, e da parte di tutti, anche dei
privati.
Molti soccorsi, non a caso, avvengono grazie all’intervento di piccole
imbarcazioni o di mercantili privati, come è accaduto in quest’ultimo caso. Esistono
peraltro anche altre convenzioni internazionali che prevedono il dovere di
prestare assistenza alle persone in difficoltà in mare e di portarle in un
“luogo sicuro”, cioè la Convenzione per la salvaguardia della vita umana in
mare (SOLAS - Safety of Life at Sea), firmata a Londa nel 1974 e ratificata
dall'Italia nel 1988, e la Convenzione internazionale sulla ricerca e
salvataggio in mare (SAR), del 1979 e ratificata dall’Italia nel 1989.
Il mare Mediterraneo è suddiviso
in zone di Search and Rescue (cd zone SAR) che sono rivendicate dagli Stati
come aree di controllo per il soccorso e per garantire la sicurezza della
navigazione sia marittima che aerea. Alcuni Stati della riva sud del
Mediterraneo di particolare debolezza politica e istituzionale come la Libia, tuttavia,
non rivendicano zone SAR e comunque non eseguono attività di controllo.
La
questione presenta anche altri elementi problematici, come la mancata attività
di controllo da parte di Malta, che è nell’impossibilità di gestire la propria
ampissima SAR. In questo contesto, da più parti si auspica la conclusione di un
accordo internazionale per la creazione di una SAR pan-mediterranea nella quale
le competenze e le responsabilità del soccorso in mare siano condivise tra
tutti gli Stati rivieraschi.
Questa ipotesi sarebbe in linea con quanto
previsto dall’art. 98 della Convenzione del 1982, cioè l’obbligo dello stato
costiero di promuovere un servizio di adeguato soccorso e ricerca in mare
collaborando tramite accordi regionali.
In tal senso va sottolineato che
allo stato attuale esistono tutte le tecnologie e le competenze per effettuare
il controllo preventivo dell’intero Mediterraneo attraverso i sistemi
satellitari.
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