La Cia-Confederazione italiana agricoltori è stata ammessa oggi dal GUP di Reggio Emilia quale parte civile nel processo a carico di un imprenditore reggiano e i suoi collaboratori imputati di associazione a delinquere finalizzata alla produzione e commercializzazione in tutto il mondo dei cosiddetti "Wine Kit" con in etichetta riferimenti a 24 vini italiani Dop e Igp tra i più noti, risultati contraffatti. Dopo aver sollecitato ed ottenuto l'incriminazione anche delle società attraverso le quali gli imputati perpetravano le frodi, la Cia è stata ammessa come parte civile in quanto il giudice ha accolto la tesi secondo cui la Confederazione è da considerarsi parte lesa in quanto, da statuto, ha l'obbligo di tutelare gli interessi delle imprese agricole associate, incluse dunque quelle vitivinicole. Il provvedimento di ammissione, al di là del l'esito del processo che si celebrerà con il rito abbreviato a partire dal prossimo 3 dicembre, merita particolare rilievo in quanto per la prima volta un'organizzazione di rappresentanza e tutela dell'impresa agricola si costituisce parte civile in un processo di questo tipo, segno tangibile del costante impegno della Cia nella tutela del Made in Italy. La truffa era stata scoperta lo scorso agosto dai carabinieri del nucleo antifrodi di Parma e dalla Procura di Reggio Emilia con la collaborazione dell'Agenzia delle dogane. Secondo l'accusa, l'organizzazione sarebbe responsabile della commercializzazione in tutto il mondo dei 'Wine kit', con cui si produce poi il cosiddetto 'vino in polvere', cioè un preparato solubile in acqua assimilato al vino, con etichette che fanno riferimento ai più famosi vini italiani. Il valore complessivo finora accertato della frode è di oltre 28 milioni di euro. La contraffazione sottrae ogni anno più di un miliardo all'agroalimentare nazionale, di cui il 20 per cento "scippato" al mondo del vino. Un settore in costante crescita, in grado di muovere 4,7 miliardi di euro sui mercati esteri dove una bottiglia su cinque è "made in Italy".
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