I principi sanciti nella Nostra Carta e nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) non possono essere lesi da leggi nazionali pena la loro illegittimità. Ciò vale anche quando lo Stato e gli enti previdenziali s'inventano norme che limitano agli stranieri regolarmente soggiornanti l'accesso ai benefici previsti dalle leggi e regolamenti nazionali in materia di previdenza.
E così che Giovanni D'Agata presidente e fondatore dello "Sportello dei Diritti" segnala l'importante sentenza della Corte Costituzionale n. 22 del 27 febbraio 2015 che ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge finanziaria 2001), nella parte in cui subordina al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato della pensione di cui all'art. 8 della legge 10 febbraio 1962, n. 66.
In pratica, l'indennità di accompagnamento per i ciechi è dovuta anche ai cittadini extraUE purchè legalmente soggiornanti in Italia anche se privi della carta di soggiorno.
I Giudici costituzionali hanno premesso che nella fattispecie in ragione delle gravi condizioni di salute di portatori di handicap fortemente invalidanti, sono coinvolti una serie di valori di essenziale risalto - quali, in particolare, la salvaguardia della salute, le esigenze di solidarietà rispetto a condizioni di elevato disagio sociale, i doveri di assistenza per le famiglie.
Nell'importante decisione, è sottolineato che è priva di giustificazione la previsione di un regime restrittivo, che poggia su principi di ordine temporale o economico, nei confronti di cittadini extracomunitari, legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato da tempo apprezzabile ed in modo non episodico. L'articolo contestato prevede che indennità di accompagnamento e pensione di inabilità possano essere concessi solo in presenza di determinate condizioni di reddito, alloggio e con un permesso di soggiorno valido da almeno 5 anni. Proprio per tali ragioni, evidenziano i Giudici di Palazzo della Consulta, la norma si rivela fortemente restrittiva anche rispetto alla generale previsione dettata in materia di prestazioni sociali ed assistenziali in favore dei cittadini extracomunitari dall'art. 41 del decreto legislativo n. 286 del 1998, il quale, invece, prevede che gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, nonché i minori iscritti nella loro carta o nel loro permesso di soggiorno, sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale.
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